Il “testo riservato” del PD sul Lingotto

Il Foglio pubblica un "testo riservato" del responsabile economico del PD

Foto LaPresse
cronaca
22-01-2011 sala congressi Lingotto Torino- italia 
Congresso modem al lingotto di Torino convocato da valter veltroni 
Nella foto: valter veltroni durante la sua relazione
Foto LaPresse cronaca 22-01-2011 sala congressi Lingotto Torino- italia Congresso modem al lingotto di Torino convocato da valter veltroni Nella foto: valter veltroni durante la sua relazione

Il Foglio di oggi racconta delle reazioni di Bersani alla relazione pronunciata sabato scorso da Walter Veltroni al Lingotto e spiega che nonostante le “rassicuranti parole del segretario”, “un gruppetto di economisti bersaniani, dopo aver letto con stupore le tante pagine elogiative dedicate dai giornali alla svolta veltroniana”, ha deciso di “prendere carta e penna e di mettere per iscritto tutte le affermazioni totalmente “irrealizzabili” suggerite dalla minoranza democratica”.

Quel documento risulta essere firmato da Stefano Fassina, membro della segreteria nazionale del PD nonché responsabile Economia e Lavoro del partito. Contiene due tesi, affiancate tra loro: che alcune delle cose dette da Veltroni siano giuste e sensate, e per questo siano già da tempo parte delle proposte di Bersani; che altre cose siano invece del tutto sballate, “irrealizzabili”, “da scartare”, “in sintonia con Tremonti”, “preoccupanti” e contraddittorie. Oggi il giornalista del Foglio Claudio Cerasa ha pubblicato il documento integrale sul suo blog. Lo trovate anche di seguito.

***

Nonostante le celebrazioni di qualche autorevole quotidiano convinto di poter tornare ad eterodirigere il Pd, la relazione di Walter Veltroni al Lingotto 2 segnala una chiara convergenza programmatica della minoranza del partito sulle scelte compiute dall’Assemblea Nazionale di Roma e di Varese. Vediamo.

Le prospettive dell’Unione Europea indicate nella relazione sono pari pari contenute nel documento sul tema approvato all’unanimità a Roma il 22 Maggio scorso e riproposte da Bersani in Piazza S. Giovanni l’11 Dicembre scorso. L’apprezzamento alla proposta Tremonti-Juncker coincide con le posizioni espresse dalla segreteria del partito il giorno stesso dell’articolo dei due ministri al Financial Times. Anche l’elezione diretta del presidente del Consiglio Europeo è stata oggetto attivamente condiviso dal Pd invitato al consiglio del PSE a Varsavia nel Dicembre scorso.

Sul piano politico, è noto e provato nell’azione di governo l’ampio consenso nel Pd per la riduzione del debito pubblico. Non a caso, in tutti i documenti economici del Pd indichiamo il vincolo. Quindi, nessuna obiezione principio. Il punto è tecnico: l’obiettivo indicato da Veltroni è irrealizzabile: nessun paese al mondo è riuscito a ridurre di 40 punti percentuali di Pil (640 miliardi di euro) il debito pubblico in 9 anni. Il Fondo Monetario Internazionale, consapevole della natura del problema e delle conseguenze deflattive deill’aggiustamento fiscale, è molto più cauto. Le tre variabili individuate da Veltroni possono concorrere a centrare l’obiettivo, ma la misura indicata è ordini di grandezza inferiore a quanto possibile ed utile perseguire.

Primo, la proposta di Veltroni di cartolarizzare il patrimonio pubblico attraverso un’agenzia non funziona. È stata messo in atto nel 2004 dal Ministro Tremonti e gli esiti, nonostante l’entusiasmo iniziale per la cartolarizzazione fosse a via XX Settembre alto almeno quanto al Lingotto, sono stati positivi soltanto per gli advisor bancari. Come noto, l’INPS a fine 2008 ha dovuto ricomprare gli immobili ceduti dal demanio alle varie Scip e cartolarizzati. Le ragioni del fallimento sono molteplici: le caratteristiche dei beni immobili cartolarizzabili; le difficoltà amministrative, vincolistiche e sociali alla valorizzazione; gli obiettivi finanziari da centrare. Certamente, la valorizzazione del patrimonio va perseguita e parti del patrimonio alienate, ma senza illusorie scorciatoie: l’Agenzia del Demanio, durante il secondo Governo Prodi, aveva avviato ottime iniziative in partnership con i Comuni in quanto responsabili della variazione della destinazione d’uso degli immobili demaniali. Vanno riprese e potenziate. Inoltre, c’è il grande capitolo delle società partecipate da Comuni, Province e Regioni, una giungla da disboscare al fine di realizzare guadagni di efficienza, ridurre lo stock di debito e i flussi di deficit.

La seconda variabile indicata da Veltroni è la spesa primaria corrente. Ricordo il documento sul fisco di Varese: “Quest’ultimo è un capitolo fondamentale, da affrontare con coraggio. Va abbandonata la strada iniqua ed inefficiente dei tagli ciechi praticata dal Ministro Tremonti e riavviata e potenziata la spending review. Va realizzato, per ciascuna amministrazione centrale, un “piano industriale” di riorganizzazione e ridimensionamento e va reso ordinario il benchmarking dei servizi offerti ed efficace la valutazione dei risultati. Soprattutto, va data attuazione efficiente ed equa del federalismo fiscale nel quadro di un radicale ridisegno delle autonomie territoriali. Sussidiarietà verticale ed orizzontale, ma responsabilità ultima della Repubblica a rimuovere gli ostacoli allo sviluppo integrale della persona”. Sul punto, Veltroni converge. Tuttavia, l’indicazione di un obiettivo quantitativo in riferimento al Pil è una posa gladiatoria più in sintonia con i tagli orizzontali del Ministro Tremonti che con l’impianto culturale di una corretta ed efficace spending review, ossia bottom up, non topo down. Infatti, l’impatto complessivo degli interventi guidati dalla spending review può anche essere superiore a quanto deciso al buio ed il risultato finale certo più equo ed efficiente.


Infine, la terza variabile ricordata da Veltroni è l’imposta patrimoniale. Anche qui, nessuna obiezione di principio. La possibilità di un’imposta straordinaria sul patrimonio l’abbiamo discussa a lungo per la preparazione del documento di Varese. Poi, l’abbiamo scartata perché sarebbe massimamente regressiva data la composizione e la residenza del patrimonio italiano. Va segnalato, infatti, che quasi 60% del patrimonio italiano è costituito da abitazioni, quasi tutte di residenza, l’11 da conti correnti, poi ci sono i titoli di stato. In altri termini, il 47% del patrimonio italiano detenuto dal 10% dei proprietari più ricchi è prevalentemente di natura finanziaria, in larga misura custodito all’estero, spesso in paradisi fiscali, da società estere, come emerso dal condono-scudo fiscale voluto dal Ministro Tremonti. Insomma, per arrivare ad un gettito significativo si dovrebbero tartassare pesantemente i proprietari dell’abitazioni di residenza o le famiglie possessori di titoli di Stato o di conti correnti bancari. I grandi patrimoni non verrebbero coinvolti in misura significativa. Per tali ragioni, in “Fisco 20, 20, 20”, abbiamo proposto, in alternativa alla patrimoniale, l’intervento sulle aliquote applicate ai rendimenti del patrimonio, ossia una misura realistica in grado di eliminare il vantaggio fiscale della rendita e favorire la capitalizzazione delle imprese. In sintesi, nonostante le apparenze macroeconomiche, non vi sono scorciatoie per abbattere il debito. La via maestra passa per l’innalzamento del potenziale di crescita economica attraverso le riforme strutturali, le politiche industriali, gli investimenti innovativi pubblici e privati, la redistribuzione del reddito. E passa pure per il recupero dell’evasione fiscale, la distintiva anomalia italiana, completamente assente nel riassunto programmatico svolto al Lingotto 2. Un’assenza di solito strumentale nei discorsi della destra. Un’assenza preoccupante per un impianto centrato sul ripristino del primato della legalità.

Altra proposta forte di Veltroni è, giustamente, la valorizzazione del potenziale femminile per la crescita economica dell’Italia. Anche qui, il documento sul fisco di Varese è preciso: “Per incentivare il lavoro femminile e sostenere la famiglia, la leva fondamentale sono i servizi: dagli asili nido, all’assistenza alle persone non-autosufficienti. In sinergia con il potenziamento dei servizi, proponiamo di introdurre una consistente agevolazione fiscale (detrazioni ad hoc o riduzione dell’aliquota Irpef) per il reddito da lavoro delle donne in nuclei familiari con figli minori”. Veltroni indica il taglio delle aliquote per tutte le lavoratrici per alleggerire il carico fiscale, mentre a Varese abbiamo insistito su detrazioni ad hoc per mamme lavoratrici. A Varese, l’intervento riproposto da Veltroni l’abbiamo valutato e scartato perché, in un contesto di risorse finanziarie scarse, è fuori target: il problema dell’Italia è la fuoriuscita dal mercato del lavoro delle donne alla nascita del primo figlio. È sbagliato dimezzare l’aliquota ad una donna in quanto tale: la donna non è soggetto debole in quanto donna, è indebolita dai carichi di lavoro che una società maschilistica le impone in quanto madre. Pertanto, va sostenuta la donna lavoratrice in quanto madre in un contesto povero di servizi di sostegno all’esercizio delle responsabilità famigliare. La proposta di Veltroni spreca, tra l’altro in modo regressivo, risorse preziose da concentrare su altre priorità, ad esempio la costruzione di asili nido.

Sul versante fiscale, è tornato Beppe Fioroni nelle sue conclusioni, in particolare su due rilevantissimi temi: le famiglie e le partite Iva. Sulle famiglie, Fioroni ha ripreso la proposta della no-tax-area sulla quale è ora attestato il “Forum delle famiglie”, dopo l’abbandono dell’impraticabile (per impatto finanziario) ed insostenibile (per impatto regressivo) “quoziente famigliare”. È una proposta sostanzialmente convergente con la proposta da anni portata avanti dal Pd: il bonus famiglie. Il bonus famiglie, come la no-tax-area, è il risultato di un insieme di detrazioni (o trasferimenti monetari in caso di incapienza) costruito in riferimento al numero e alle caratteristiche dei componenti del nucleo famigliare. A Varese, è scritto nel documento sul fisco proposto all’Assemblea, abbiamo sottolineato ed apprezzato il passo avanti compiuto dal Forum delle famiglie, sebbene la proposta sia ancora insoddisfacente in quanto rimuove le detrazioni per la produzione di reddito da lavoro e richiede l’innalzamento dei contributi sociali ai lavoratori autonomi.

Sulle partite Iva, la ricerca insistita di un distintivo tratto di identità programmatica di Modem non ha senso. Il documento sul lavoro approvato a Maggio a Roma contiene le misure per l’universalizzazione del welfare oltre i confini del lavoro dipendente (dal bonus famiglia, all’indennità di maternità, alle assicurazioni sociali contro la disoccupazione, la malattia, ecc) ed esplicita la proposta di “Statuto per il lavoro autonomo e professionale”. Il documento sul fisco approvato a Varese compie una rivoluzione culturale in quanto, oltre al potenziamento del forfettone fiscale, l’unica vera riforma finora attuata per il “popolo delle P.I., propone di tassare come reddito da capitale, ossia ad aliquota piatta del 20%, il reddito ordinario del lavoratore autonomo, del professionista e del piccolo imprenditore.


Infine, le proposte per il lavoro. Qui, i commenti dei media non hanno colto la posizione di Veltroni. Nelle politiche di contrasto alla precarietà, Veltroni abbandona l’obiettivo del “contratto unico” (mai nominato nel testo)per convergere sulla proposta, radicalmente alternativa, contenuta nel documento approvato all’Assemblea di Roma: “il diritto unico del lavoro”. In altri termini, al Lingotto 2 si abbandona l’attacco all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e si sceglie la strada della rimozione dei vantaggi economici dei contratti precari, la vera causa della precarietà. Nella relazione, Veltroni fa riferimento all’elaborazione del sen Ichino, ma il punto di contatto è relativo alla responsabilità della politica per la riforma delle regole sulla rappresentanza e la democrazia sindacale. È un punto sul quale, come abbiamo scritto ripetutamente nei mesi scorsi con Emilio Gabaglio, Presidente del Forum Lavoro del Pd, siamo tutti, tutti, d’accordo.

Insomma, il Lingotto 2 è stato un passaggio importante in quanto ha evidenziato che anche la minoranza del Pd converge su punti programmatici elaborati dall’insieme del Pd, non solo dalla maggioranza, nei mesi scorsi. La convergenza è evidente anche sul piano delle alleanze politiche ed elettorali, nonostante i tentativi di rimpacchettamento.

Non vi sono differenze rilevanti allora? No, differenze, assolutamente legittime, vi sono ed investono l’impianto politico-culturale: la rilevanza del paradigma liberal-democratico. Veltroni lo conferma, esplicita il prof Salvati. Invece, va superato, poiché la cultura liberal-democratica non è in grado di reggere lo sguardo di Medusa dell’economia globale, come rileva un filone di pensiero ispirato alla “Caritas in veritate” (es. Brokenforde e Bazoli), riconoscono oggi i fondatori del New Labour (es. Policy-network) e sostengono illustri economisti mainstream (es. Rajan in “Fault Lines”). Il pensiero liberale ispirato all’individualismo metodologico è inadeguato ad affrontare le sfide drammaticamente scarnificate dalla crisi: la libera interazione tra agenti economici razionali, impegnati a massimizzare funzioni di utilità individuali, non conduce ad un equilibrio generale soddisfacente e allo sviluppo integrale della persona. La politica non può, quindi, rimanere ancillare all’economia. Non può limitarsi a liberare gli individui dai lacci e lacciuoli delle istituzioni pubbliche. La politica deve portare a sintesi interessi diversi ed orientarli verso il bene comune definito in un processo democratico. Le forze economiche non portano autonomamente alla crescita e l’economia, da sola, non fa la società, come assumevano le tramontate “Terze vie”. Il governo europeo dell’economia, politica industriale, investimenti pubblici, canalizzazione del risparmio privato, re-distribuzione del reddito, sono necessarie per la crescita. Insomma, è la logica di funzionamento da cambiare. La giustizia sociale non può essere soltanto principio correttivo di una logica di funzionamento informata esclusivamente dall’individualismo proprietario. Celebrare la “modernità” economicistica di Marchionne implica una prospettiva di rassegnazione pragmatica e di subalternità politica al lavoro. Invece, la centralità politica ed economica del lavoro è l’eredità del ‘900 da portare nel riformismo del XXI secolo.

Compito del Pd, dobbiamo sempre ricordarlo, è promuovere la centralità culturale e politica del lavoro, in tutte le sue articolazioni, per ricostruire le condizioni dello sviluppo integrale della persona (ed è qui il senso di fondo dell’incontro tra le culture fondative del Pd) e rilanciare una democrazia delle classi medie, fondata sul lavoro, in alternativa alla democrazia populista ed oligarchica conseguente alla subalternità del lavoro e alla torsione corporativa dei sindacati. La centralità del lavoro è l’unica bussola per un partito a “vocazione maggioritaria”. La prospettiva del Lingotto 2 e la scelta di delegare a Vendola la rappresentanza della fascia di gran lunga più ampia del lavoro, in una singolare contraddizione con il ritornello di Modem di non appaltare ad altri la raccolta dei voti nell’arena del centrosinistra, porterebbe il Pd ben al di sotto di quanto indicato dagli attuali, strumentalizzati ed incompresi sondaggi. Soprattutto, lo renderebbe sostanzialmente inutile in quanto condannerebbe l’universo del lavoro alla marginalità sociale e politica.

Stefano Fassina, segreteria nazionale Pd