Da dove cominciare
Ermete Realacci prova a rispondere alla domanda su cosa possa fare la sinistra per recuperare la situazione
Ieri il Post aveva aperto una discussione sui modi che le opposizioni possono trovare per guadagnare consenso in una situazione in cui la maggioranza sembra dargliene l’opportunità. Oggi su Europa Ermete Realacci del PD – rifacendosi anche a un’analisi del direttore del Post della settimana scorsa – prova ad affrontare la questione per quello che riguarda il suo partito e una visione più sul lungo periodo delle sue prospettive, alla vigilia dell’incontro di Torino del gruppo dei veltroniani.
Riuscirà l’appuntamento di MoDem a Torino a indicare una prospettiva convincente, attraente e per questo in grado di mobilitare energie positive? Riuscirà a parlare dell’Italia e all’Italia e quindi essere utile al Partito democratico? Per far questo dovrà innanzitutto riuscire nel proibitivo compito di fare i conti con l’inquietante deriva del Berlusconismo in atto senza lasciarsene ipnotizzare.
Ciò che ha infatti indebolito, nei mesi passati, la possibilità di chiudere l’esperienza dei governi Berlusconi è stata la mancata percezione, da parte di larga parte del paese, dell’esistenza di una credibile alternativa.
Se le difficoltà del centrodestra si fossero incontrate con la forza elettorale e con la capacità di parlare al paese, compreso chi non ci votava, che aveva il Partito democratico all’inizio la situazione sarebbe oggi ben diversa. Non è così.
C’è stata una caduta di speranza e di capacità attrattiva che si registra da tanti indicatori. Da coloro che sono più attenti alla politica, agli amici che si incrociano, alle persone comuni, dall’allontanarsi di energie vitali, alla, per me insopportabile, tendenza di tanti circuiti di opinione a criticare il Pd, spesso gratuitamente o magari per dimostrare indipendenza di giudizio.
Questa perdita di speranza e di attrattiva è stata ben descritta di recente, ad esempio, da due persone intelligenti e “amiche” come Luca Sofri e Claudio Cerasa.
Le responsabilità di quanto è accaduto sono, in quota parte, di tutto il gruppo dirigente del Pd e la deriva è in atto da ben prima della segreteria Bersani. È difficile non porsi l’obiettivo di cambiare rotta per essere in grado di proporre un’alternativa. Si rischia altrimenti di essere definiti dalle alleanze più che dalla nostra proposta: un Pd più “di sinistra” se si allea con Vendola e Di Pietro, più “di destra” se si allea con Casini, Fini e Rutelli. E al tempo stesso non abbastanza forte nel proporre, se la situazione lo rende necessario, un’alleanza più ampia. Del resto si è più portati fare i conti con un ambizioso e coraggioso esercito in marcia piuttosto che con un dignitoso ed ampio esercito trincerato Ma al Lingotto è peggio che sbagliato, è impossibile proporre un’operazione nostalgia stile Gozzano: «non amo che le rose che non colsi…». Gli ingredienti del discorso di Veltroni del 2007 sono oggi in parte irriproducibili e in parte da aggiornare. La capacità espansiva di allora, che raccoglieva e portava a compimento la migliore eredità dell’Ulivo, non era solo, come è consuetudine ritenere in larga parte del ceto politico, il mettere assieme la parte migliore della tradizione del Pci e della Dc. Un tema che credo motivi il giusto coloro che da quelle tradizioni provengono e ancor meno coloro che ne sono estranei.
Sicuramente pesarono, tra gli altri, due elementi. Una proposta politica forte, innovativa e coraggiosa.
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