L’industria cinematografica di Tijuana
È diventata uno dei punti di snodo più importanti nel traffico della droga verso gli Stati Uniti
Tijuana è la città più grande della Bassa California, esattamente al confine tra Messico e Stati Uniti. La sua posizione geografica ne ha fatto al contempo una delle mete turistiche più frequentate dai giovani americani e uno dei simboli più spietati del fallimento della politica d’immigrazione adottata da Stati Uniti e Messico. Il muro alto tre metri che la separa da San Diego, costruito nel 1990, ha spinto i clandestini a cercare di attraversare la frontiera sempre più a est, in zone meno controllate dalla polizia ma anche più pericolose, perché desertiche.
Negli ultimi anni la città ha subito un’ulteriore evoluzione a causa dell’espansione delle attività illegali dei narcos, che ne hanno fatto uno dei punti di snodo più importanti nel traffico della droga verso gli Stati Uniti. Mercoledì la polizia ha arrestato uno dei boss del cartello Sinaloa che da tempo aveva fatto di Tijuana la sua base operativa principale. Juan Miguel Valle Beltran, “El Boxer”, è stato catturato dalla polizia a Playas de Rosarito, ed è ora accusato di essere coinvolto in almeno cinquanta omicidi. Tim McGirk, sul Time, racconta la trasformazione di Tijuana degli ultimi anni.
Fino a poco tempo fa un viaggio a Tijuana era considerato un rito di passaggio per ogni teenager della California del sud, ma ora non è più così. Una guerra feroce tra i cartelli della droga e la polizia ha travolto le strade di Tijuana lasciando cadaveri per terra ogni notte. «Perché i turisti americani non vengono più», chiede il mio tassista «non lo sanno che questi si ammazzano solo tra di sé?». Il taxi si ferma davanti a un cimitero, colorato, caotico, sovraffollato proprio come la città. Un cane randagio beve un po’ d’acqua da un vaso di fiori accanto a una tomba. Molte vittime della guerra dei narcos sono sepolte qui. Sulle lapidi ci sono molti graffiti, un ultimo insulto lasciato dai cartelli rivali. E tra le tombe il regista messicano Enrique Murillo, che sta girando una scena in cui un narcotrafficante giura vendetta sulla tomba della sua fidanzata assassinata.
Gli scontri tra i narcos stanno avendo una forte ripercussione anche su gran parte dei soggetti cinematografici e televisivi messicani. La casa di produzione cinematografica più affermata in Messico, Baja Films, ha prodotto oltre 130 film basati su storie di violenza tra bande rivali. «Di solito uccidiamo circa una cinquantina di persone», dice Murillo a Time. La sceneggiatura è quasi sempre la stessa: sparatorie, l’eroe che muore e il trafficante che lotta con la polizia per tutto il film. Questo tipo di film sono diventati così rappresentativi della nuova realtà di Tijuana che anche alcuni dei veri boss hanno iniziato a voler comparire in qualche scena, quasi a suggello definitivo del loro status. In alcuni casi si tratta di vere e proprie comparse, in altri si limitano a prestare le loro macchine o le loro case per girare qualche scena. «Una volta ci hanno invitato a girare in una villa in cui c’era di tutto: prati, piscina, fontane, perfino una tigre», racconta uno dei registi di Baja Films «potevamo girare ovunque tranne che nella cantina. Ci dissero: “se andate nella cantina, dovrò uccidervi. Non sto scherzando, dovrò veramente uccidervi”. Quindi restammo alla larga della cantina».