Il presidente abusivo della Costa d’Avorio
Laurent Gbagbo è ancora lì: ha perso le elezioni, ma non vuole lasciare il paese
Dallo scorso novembre, la Costa d’Avorio è governata da un presidente abusivo, che non intende farsi da parte come richiesto da settimane dalla maggioranza dei suoi cittadini e dalla comunità internazionale. Laurent Gbagbo, già alla guida del paese dall’ottobre del 2000, ha perso le elezioni presidenziali ottenendo il 45,9% delle preferenze a fronte del 54,1% ottenuto dal suo oppositore, Alassane Ouattara. Per non lasciare il potere, Gbagbo ha fatto pressioni sulla Corte costituzionale che ha annullato numerose schede favorevoli a Ouattara, decretando così la riaffermazione del presidente uscente.
La decisione della Corte e l’ostinazione di Gbagbo hanno portato a numerosi scontri tra i sostenitori dei due candidati presidenti. Le violenze hanno causato fino a ora la morte di quasi duecento persone e il ferimento di altre migliaia, scene che hanno fatto temere l’esplosione di una nuova guerra civile in un paese che con grandi difficoltà sta cercando di tornare a un assetto pienamente democratico.
Nonostante i ripetuti inviti dell’ONU e della comunità internazionale ad abbandonare la presidenza, Gbagbo nel primi giorni di dicembre ha prestato giuramento per il nuovo mandato da presidente. Ouattara ha contestato la scelta di Gbagbo e ha deciso di tenere una cerimonia simile, giurando da presidente. Entrambi gli esponenti politici hanno poi formato un loro governo dando inizio a una lunga fase di stallo.
Nelle ultime settimane del 2010 molti leader politici africani si sono recati in Costa d’Avorio per cercare di trovare una mediazione e convincere Gbagbo a fare qualche passo indietro. Il viaggio di Thabo Mbeki, l’ex presidente del Sudafrica, per conto dell’Unione Africana è stato un mezzo fallimento. Mbeki ha ascoltato le richieste dei due presidenti, ma non è riuscito a trovare un punto di mediazione per risolvere il contenzioso. Si sono rivelati inconcludenti anche i tentativi dei presidenti del Benin, della Sierra Leone e di Capo Verde per conto dell’ECOWAS, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale.
Gbagbo ha sempre dichiarato di ritenersi regolarmente eletto e reputa quindi intromissioni illegittime negli affari di uno stato sovrano i tentativi della comunità internazionale di farlo desistere. In più occasioni il presidente ha minacciato di espellere i diplomatici dei paesi che non riconoscono la sua elezione e ha chiesto all’ONU di rimuovere i propri contingenti di pace dal paese.
Il timore è che l’esasperazione dei sostenitori di Ouattara possa portare a nuove violenze e alla guerra civile, anche se l’oppositore di Gbagbo in questi mesi ha invitato i suoi a non usare la violenza per risolvere la questione. Per sfuggire alle violenze e agli scontri si stima che almeno 20mila persone abbiano abbandonato la Costa d’Avorio trovando rifugio oltre il confine con la Liberia. Per l’Ufficio dei Rifugiati dell’ONU (UNCHR) il progressivo aumento dei rifugiati potrebbe portare a una seria emergenza umanitaria: donne, bambini e anziani hanno trovato ospitalità nei villaggi lungo il confine, ma cibo, acqua e medicinali scarseggiano.
Un paio di settimane fa, i rappresentanti dell’ECOWAS hanno cercato di trovare un nuovo accordo con Gbagbo. Al presidente è stata offerta l’amnistia per i reati commessi contro la popolazione nelle ultime settimane a patto che accetti di lasciare il potere. Il presidente non vuole mollare e nelle ultime ore ha visto il primo ministro keniota Raila Odinga, che sta cercando di portare avanti una mediazione tra i due presidenti. La comunità internazionale studia, intanto, nuove soluzioni per mettere in difficoltà Gbagbo tagliando fondi e risorse finanziarie.
In un articolo sul New York Times, Adam Nossiter spiega che le sanzioni e il congelamento di alcuni conti potrebbero rivelarsi insufficienti per indurre l’attuale presidente a compiere qualche passo indietro. Gbagbo può fare affidamento sulle proprie conoscenze per indurre le banche e le società a lui vicine a fornire nuova liquidità, utile per finanziare le forze armate e le milizie che lo sostengono.
Entro fine mese, il presidente ivoriano potrebbe ottenere 90 milioni di dollari dal pagamento anticipato di alcune imposte sull’esportazione del cacao, una delle principali materie prime prodotte in Costa d’Avorio. Molte banche collaborano con il governo e nelle ultime settimane avrebbero ricevuto forti pressioni per mantenere aperte le linee di credito che servono al presidente.
Asserragliato in un hotel protetto dalle forze dell’ONU, Ouattara ha dichiarato di aver avviato con i propri collaboratori alcune indagini per identificare società e istituti di credito che collaborano con Gbagbo. Il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale ha poi minacciato di utilizzare quelle informazioni, non appena sarà al comando, per sanzionare e perseguire chi ha sostenuto finanziariamente il proprio oppositore.
Secondo gli analisti, Gbagbo potrebbe avere risorse finanziarie sufficienti per mantenere saldo il controllo del paese nel corso dei prossimi mesi. Fino a quando sarà in grado di pagare l’esercito, le milizie che lo sostengono e i principali funzionari della pubblica amministrazione, il presidente potrà godere di un sostegno sufficiente per andare avanti nonostante i conti congelati dalla Banca Mondiale e i ripetuti inviti della diplomazia internazionale a dimettersi dalla carica che ricopre abusivamente dallo scorso novembre.