Legittimo impedimento bocciato in parte
La Corte Costituzionale ha espresso una sentenza interpretativa di rigetto: cosa succede adesso
Chiamata a esprimersi sul legittimo impedimento, la Corte Costituzionale ha emanato una sentenza che boccia alcune parti della legge e pone limiti e paletti per le altre. La legge prevedeva la sospensione dei processi a carico del premier e dei ministri, consentendo loro di non presentarsi in aula nel caso di impegni istituzionali importanti. La norma ha carattere temporaneo: dura infatti 18 mesi, il tempo di approvare una legge costituzionale che garantisca l’immunità alle alte cariche dello Stato. Essendo stata approvata nel marzo del 2010, cesserà di esistere a settembre del 2011.
Per capire bene le conseguenze della decisione della Corte bisognerà leggere l’intero dispositivo, ma stando a quanto si apprende in questi minuti la Corte avrebbe optato per una strada intermedia tra l’avallo e la bocciatura della norma. La Corte Costituzionale non ha cancellato il legittimo impedimento ma ne ha dato una nuova lettura, un’interpretazione conforme al dettato costituzionale.
Ha dichiarato illegittimo il comma 4 dell’art.1, che stabiliva che fosse Palazzo Chigi a certificare l’impedimento e obbligava il giudice a rinviare l’udienza fino a sei mesi. Ha bocciato in parte il comma 3 della legge, affidando quindi al giudice la valutazione del legittimo impedimento, e ha fornito un’interpretazione del comma 1. In sostanza, sarà il giudice e non l’imputato a decidere se i suoi impegni costituiscono un impedimento alla partecipazione all’udienza. E quindi il giudice potrà contraddire la volontà dell’imputato, considerando i suoi impegni non adeguati a giustificare lo slittamento di un’udienza. E i processi andrebbero avanti. A quel punto i legali dell’imputato potrebbero però invocare di nuovo un intervento della Corte, per conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato.
L’interpretazione dell’articolo 1 chiarisce sulla base di cosa ritenere adeguato o inadeguato un impegno istituzionale. Secondo la Corte, giustifica un legittimo impedimento “il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti”. Quindi il Consiglio dei ministri, la conferenza Stato-Regioni, gli impegni internazionali. Ma anche le “relative attività preparatorie e consequenziali, nonché ogni attività comunque coessenziale alla funzioni di governo”.
Nel caso di Berlusconi, quindi, saranno i giudici a decidere volta per volta se i suoi impegni sono o no adeguati a rinviare le udienze. Se riterranno che non lo sono, i processi andranno avanti. Di fatto la norma perde la sua utilità per il governo, alla luce dello scopo per cui era stata approvata: sospendere i processi durante l’iter di approvazione della legge costituzionale sull’immunità parlamentare. I processi di Berlusconi non sono più sospesi.