«I ricatti ce li pone la globalizzazione, non Marchionne»
L'intervista del Manifesto a Sergio Chiamparino, sull'accordo di Mirafiori
Oggi sul Manifesto Loris Campetti intervista Sergio Chiamparino, sindaco uscente di Torino, sul tema dell’accordo sullo stabilimento FIAT di Mirafiori.
Si sente forte per il sondaggio del Sole 24 ore che lo colloca al secondo posto dopo Renzi tra i sindaci più amati con il 66% di consensi. È contento di essere arrivato alla fine dei suoi 10 anni di governo di Torino («4 mesi all’alba») con la coscienza «a posto». Chissà quale sarebbe il consenso tra i 5.300 operai che domani e venerdì voteranno sul diktat di Marchionne e che lui invita a mettere la croce sul sì. Con Sergio Chiamparino chi scrive ha un’antica amicizia che può giustificare il tono poco formale dell’intervista.
Torino città operaia, di Gramsci e dei consigli, si ritrova con un sindaco uscente e uno che potrebbe entrare (Piero Fassino) in rotta di collisione con la Fiom e quel che rappresenta. Bell’affare.
La Fiom non è il «nucleo storico» della classe operaia a Mirafiori ma una minoranza, mi pare il 15% (è il 22% e glielo ricordiamo, ndr). Io sindaco rappresento l’80%, se devo risponderti provocatoriamente, non una piccola parte ma l’interesse generale. Voi predicatori della sinistra che parlate tanto di ricatto di Marchionne, ma io e te abbiamo un’età e ci ricordiamo molti passaggi. Per esempio gli accordi del ’92-’93 a colpi di biglie e carciofi, con Trentin contestato che firma l’accordo e si dimete. Io, con Treu e Tarantini la svolta l’avrei fatta molto prima, nell’84, ai tempi della scala mobile. Invece i duri si opponevano a ogni cambiamento delle relazioni industriali. Se si fosse cambiato prima le cose sarebbero andate meglio e l’Italia sarebbe più vicina alla Germania che alla Grecia. Oggi di nuovo i duri della Fiom, per calcolo politico, si oppongono ai cambiamenti, ripetono gli stessi errori. Votare sì darebbe forza per battersi in fabbrica sul versante sindacale e in Parlamento su quello legislativo per migliorare l’accordo. Se vincesse il no precipiteremmo in un limbo senza certezze e prospettive.