• Mondo
  • Domenica 9 gennaio 2011

Guida al referendum in Sudan

È iniziato il voto per il referendum che deciderà della secessione tra nord e sud del paese

In Sudan è iniziato il voto per il referendum che deciderà della secessione tra nord e sud del paese. Quasi quattro milioni di persone residenti nel sud si sono registrate per votare, nelle regioni del nord invece poco più di centomila. Se le elezioni si svolgeranno regolarmente, è certo che il sud voterà in blocco per l’indipendenza. La nuova nazione – che avrebbe un’estensione pari a quella della Francia – avrà come capitale Juba, una città che ha solo cinque strade asfaltate. Negli ultimi sei mesi gli abitanti di Juba si sono dati appuntamento ogni nove del mese per marciare attraverso le strade della città, una specie di conto alla rovescia in attesa di un voto storico. Le urne resteranno aperte per sei giorni.

Che cos’è il Sudan
È uno stato dell’Africa subsahariana, il più grande per estensione di tutto il continente africano. È situato nella parte nord-orientale dell’Africa e si affaccia a est sul Mar Rosso. La sua capitale è Karthoum, in cui abitano circa cinque milioni di persone. È una repubblica presidenziale, retta dalla giunta militare del presidente Omar al-Bashir. E uno dei paesi più devastati dalle guerre civili: quella in Darfur e quella tra nord e sud del paese.

La popolazione
La popolazione – circa quaranta milioni di abitanti – è composta da moltissime etnie diverse, costrette a unificarsi in un unico stato prima dalla dominazione egiziana di fine Ottocento e poi da quella britannica di epoca colonialista. La parte nord del Sudan è a maggioranza araba e musulmana, la parte sud è a maggioranza cristiana e animista. Il nome Sudan deriva dall’arabo Bilād al-Sūdān, che vuol dire il “Paese dei Neri”, il nome con cui gli arabi chiamavano i territori confinanti col Sahara meridionale, le cui popolazioni erano appunto di carnagione nera.

Il Darfur
È una regione situata nella parte occidentale del Sudan, nel deserto del Sahara, che da anni lotta per una maggiore indipendenza dal regime di Karthoum. Dal 2003 è al centro di uno dei più sanguinosi conflitti del continente africano, che finora ha causato 400mila morti e quasi tre milioni di rifugiati. Lo scorso luglio il presidente Omar Hassan al-Bashir è stato incriminato dalla Corte Penale Internazionale con l’accusa di genocidio nel Darfur. Dodicimila persone stanno scappando dal sud del Darfur in seguito agli scontri dell’ultimo mese tra l’esercito sudanese e i ribelli del Movimento di Liberazione del Sudan.

La guerra civile
La guerra tra nord e sud del Sudan era durata oltre vent’anni – dal 1983 al 2005 – causando più di due milioni di morti e quattro milioni di dispersi. Gli accordi di pace firmati nel 2005 tra il governo di Karthoum e l’Esercito Sudanese di Liberazione Popolare garantivano tre cose fondamentali al sud: partecipazione al governo centrale, spartizione al 50 per cento delle risorse petrolifere del paese (le risorse maggiori si trovano al sud) e possibilità di votare per la secessione con un referendum nel 2011. Da quando il Sudan ottenne l’indipendenza dal Regno Unito, nel 1956, gli abitanti del sud sono stati marginalizzati, terrorizzati e sottoposti a continue vessazioni e violazioni di diritti civili e umanitari da parte dei vari regimi di Karthoum. Per questo considerano l’indipendenza un diritto sacro.


Il petrolio
Il presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir ha detto che non si opporrà ai risultati delle elezioni, ma nessuno si aspetta che l’esito possa essere davvero pacifico. Il sud del Sudan è  ricchissimo di petrolio e difficilmente il governo di Karthoum accetterà di perderne il controllo. I pozzi petroliferi sono quasi tutti nel sud – che dispone dell’80 percento delle risorse petrolifere di tutto il paese – ma gli oleodotti corrono verso nord perché il sud è privo di sbocchi sul mare. Una volta arrivato a Port Sudan, nel Mar Rosso, il petrolio viene raffinato e poi caricato sulle navi per l’esportazione.  Al momento nord e sud dividono i proventi al cinquanta percento, ma il sud dice che è tempo di cambiare l’accordo: dal momento i giacimenti si trovano lì, è a loro che devono andare la  maggior parte dei profitti.

Il rischio di una nuova guerra
Nelle ultime settimane i delegati di nord e sud del Sudan si sono incontrati più volte per cercare di rispondere ad alcune delle domande più urgenti che si porranno dopo la secessione: come verranno spartite le risorse petrolifere? Chi si accollerà il debito di circa ventotto miliardi di euro accumulato dalla nazione? Che cosa ne sarà di Abyei, la regione più ricca di petrolio che si trova esattamente al confine tra nord e sud del paese?

Ci sono poi una serie di questioni solo apparentemente minori, che a loro volta rischiano di alimentare lo scontro: c’è da capire quale cittadinanza attribuire ai nomadi che abitualmente si spostano da nord a sud nell’arco dell’anno; c’è da capire come organizzare gli scambi commerciali tra le due nuove nazioni; c’è da capire che cosa faranno le decine di migliaia di soldati arruolati nell’esercito centrale che verranno congedati da un giorno all’altro; e c’è da capire su quali risorse potranno contare tutte quelle piccole città e villaggi del sud che hanno sempre dipeso da Karthoum per i loro rifornimenti elettrici. Infine, c’è la gigantesca questione dei rifugiati: ci sono circa due milioni di persone di origine meridionale che vivono al nord e che con la secessione saranno costretti a lasciare il paese. Secondo le Nazioni Unite, circa 400mila persone inizieranno a dirigersi verso sud subito dopo il referendum.

Il Sudan del Sud
Nonostante la sua ricchezza petrolifera, il sud del Sudan è una regione estremamente povera, stremata dalla guerra civile e dalla totale assenza di investimenti da parte del governo centrale. I suoi oltre dieci milioni di abitanti vivono di agricoltura su territori prevalentemente desertici e i suoi abitanti vivono in media con meno di un dollaro al giorno. È la regione con la percentuale più alta di mortalità legata al parto e con il più alto tasso di analfabetismo (nove donne su dieci sono analfabete). Ha solo un malridotto ospedale per oltre cinque milioni di abitanti.

Il presidente scelto per il nascente stato meridionale è Salva Kiir, attuale presidente della stessa regione, che ha combattuto come ribelle durante la guerra civile. Finora è riuscito a fare in modo che l’esercito di liberazione del sud non interferisse nelle trattative con il nord in vista del referendum, ma se le cose dovessero andare male è molto probabile che i ribelli riprenderanno a combattere contro le forze di Karthoum. Entrambi gli eserciti hanno ripreso ad armarsi da mesi.

Ma il conflitto per il controllo sulle risorse petrolifere ormai non è più solo una questione di nord contro sud e ha finito per esasperare anche le tensioni tra gruppi etnici diversi all’interno della stessa regione meridionale. I Dinka sono l’etnia dominante e gli altri gruppi temono che non avranno nessuna intenzione di condividere il loro potere una volta ottenuta l’indipendenza da Karthoum. Salva Kiir ha già tenuto molti incontri con i rappresentanti delle diverse etnie, che vogliono assicurarsi un’equa spartizione dei posti al governo. Ma intanto nessuno sa dove la nuova nazione andrà a pescare le decine di migliaia di insegnanti, dottori e avvocati di cui avrà bisogno.

Foto: Spencer Platt/Getty Images