Le proteste in Tunisia
"Non è ancora una rivoluzione ma è già molto più che una rivolta", scrive oggi la Stampa
Nelle ultime settimane in Tunisia si stanno ripetendo manifestazioni e cortei di protesta, con la partecipazione soprattutto di giovani. C’entrano un sacco di cose: la gigantesca disoccupazione giovanile, le tasse che aumentano, la qualità scadente delle istituzioni democratiche. Per il momento le forze dell’ordine stanno mostrando un certo nervosismo, negando le autorizzazioni alle manifestazioni o contenendole con cariche violente. Il tutto in un paese considerato in via di sviluppo, il cui prodotto interno lordo sfiora un tasso di crescita del 4 per cento all’anno. Oggi sulla Stampa Domenico Quirico racconta le storie e le vite di quelli che non se ne sono accorti, della crescita economica: soprattutto i più giovani, soprattutto nelle regioni povere del sud del paese.
Non è ancora una rivoluzione. Ma è già molto più che una rivolta: una crisi grave, di quelle che si producono quando la miseria par generata dalla ricchezza.
Tre settimane di moti in piazza con fermento di aspirazioni facinorose, sazi e stanchi di illusioni e baratterie, soprattutto i ragazzi, i giovani, la generazione perduta dei laureati senza lavoro. Così numerosi da costituire una classe sociale (il 72 per cento dei disoccupati ha meno di trent’anni). Hanno da tre settimane il loro martire, Mohamed Bouazizi, 26 anni. La sua famiglia a Sidi Bouzid, un piccolo comune a 260 chilometri da Tunisi, aveva sputato sangue per rispettare la parola d’ordine che incita ad addottorarsi, che esige il pezzo di carta per uscire dal medioevo, essere moderni. Ce l’aveva fatta: adesso la vita doveva scivolare leggera in perenne discesa, ogni sogno era possibile e non più a lottare a petto a petto con la miseria. Perché la Tunisia è diversa. Linda, benestante, liberista, le ragazze in minigonna, le università strapiene, i pensionati francesi che si trasferiscono qui per chiedere al sole la magia di nascondere gli anni.