Il complicato rapporto di Julian Assange coi media
Julian Assange minacciò di fare causa al Guardian per avere pubblicato alcuni cable senza il suo benestare
Uno degli aspetti più interessanti e meno discussi del lavoro di Julian Assange e Wikileaks è il loro rapporto con i mezzi di informazione, soprattutto con le testate che ricevono in anteprima il materiale di Wikileaks, lo analizzano e lo pubblicano. Quello che si sa è che sono alcune tra le maggiori testate del mondo (New York Times, Guardian, Le Monde, El País, Spiegel) ma non sono tutte le maggiori testate del mondo. Che quelle che vogliono avere il materiale devono sottoscrivere accordi precisi, che non vanno a genio a tutti: la CNN, per esempio, ha detto più volte di avere rifiutato i termini che Wikileaks impone alle testate che collaborano con lei. Che i media che trasgrediscono vengono puniti: Al Jazeera aveva violato i termini della pubblicazione dei file sulla guerra in Afghanistan e non ha ricevuto i cable. E che uno dei termini di questo accordo probabilmente è un vincolo alla segretezza sui termini dell’accordo, visto che non se ne sa niente.
Qualcosa in più viene fuori leggendo un lungo articolo dedicato a Julian Assange e al Guardian dall’ultimo numero dell’edizione statunitense di Vanity Fair. Con qualche aneddoto interessante, come quello sullo scorso primo novembre. Prima di essere arrestato con l’accusa di violenza sessuale, Julian Assange minacciò di fare causa al Guardian se il quotidiano britannico non avesse smesso di pubblicare i cable di Wikileaks senza il suo consenso.
Assange aveva chiesto al Guardian di posticipare di alcune settimane la pubblicazione dei war logs sull’Afghanistan in modo che anche un altro dei suoi media partner, l’organizzazione no profit Bureau of Investigative Journalism, potesse fare in tempo a studiarli. Il Guardian rispose alla richiesta di Assange attraverso Daivd Leigh, capo della sezione investigativa del Guardian, che disse che avrebbe accettato a patto di ottenere subito da Wikileaks un terzo blocco di documenti, il “pacchetto 3”: quello che conteneva i cable delle ambasciate, potenzialmente i più interessanti di tutti. Assange rispose: «Puoi averli anche stasera stessa, ma devi farmi avere una lettera firmata dal direttore in cui si dice che non li pubblicherete finché io non vi dirò di farlo». Assange ebbe la lettera che voleva.
Ma poi il Guardian ottenne quegli stessi documenti anche dalla giornalista inglese Heather Brooke, che a sua volta li aveva ottenuti da un ex attivista di Wikileaks. David Leigh chiese immediatamente alla Brooke di entrare a far parte del team del Guardian, per assicurarsi lo scoop e svincolarsi dall’accordo firmato con Assange. Quindi decise di iniziare subito a pubblicare i documenti senza aspettare il suo benestare. Le prime informazioni pubblicate parlavano dello scandalo sulle spese dei politici britannici del 2009. Quando Assange venne a sapere che il Guardian aveva già diffuso alcuni documenti e ne aveva già passata una copia anche ad altre testate, tra cui il New York Times, corse alla redazione centrale del giornale e minacciò subito di fargli causa.
Assange era pallido e sudava molto, sofferente per un’influenza che non lo mollava da settimane. Era molto arrabbiato e il suo messaggio era semplice: avrebbe fatto causa al giornale se avesse continuato a pubblicare storie basate sui documenti che lui stesso gli aveva passato tre mesi prima. Era diventato la vittima del suo stesso metodo: qualcuno a Wikileaks, dove certo non mancavano i volontari insoddisfatti, aveva passato all’esterno quell’ultima parte dei documenti. Assange era infuriato per avere perso il controllo sulle sue informazioni, sosteneva di esserne il legittimo proprietario e di avere grossi interessi finanziari legati al momento della loro pubblicazione. Il direttore del Guardian iniziò allora una lunga maratona con Assange e il suo avvocato. Con molta pazienza, molto caffè e molto vino, riuscì a far restare tutte le parti sedute al tavolo. Alla fine trovarono un accordo: il Guardian avrebbe ritardato la pubblicazione degli altri documenti e nel frattempo Assange avrebbe potuto siglare nuovi accordi con altri media partner, tra cui Le Monde e El Pais.