Il presente e il futuro dell’opera lirica italiana
Un cantante d'opera spiega in che condizioni si trovano i teatri lirici in Italia
di Gianluca Floris
Gianluca Floris è un cantante d’opera italiano. Ha lavorato presso i maggiori teatri d’opera italiani e ha interpretato ruoli principali nei teatri di molte città del mondo (Braumschweig, Berlino, Tokyo, Philadelphia, St. Gallen, Rio de Janeiro). Il suo sito internet è www.gianlucafloris.com. Il suo blog è Zeitgeist.
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Con buona pace di quelli che proprio non la sopportano, l’opera lirica italiana è un patrimonio culturale identitario della nostra nazione. L’opera lirica è fra le prime cose che vengono in mente ad un abitante del pianeta Terra quando si parla di Italia. Qualsiasi expo o promozione internazionale dell’Italia all’estero ha come contorno l’allestimento di un’opera lirica o un concerto di cantanti lirici. Questo perché, lo ripetiamo, piaccia o no, l’opera lirica è uno dei più importanti patrimoni culturali dell’Italia tutta: da Gaetano Donizetti di Bergamo a Vincenzo Bellini di Catania. Patrimonio culturale italiano al pari degli Uffizi, dell’Accademia di Brera, di Pompei, di Piazza Navona, ecc. ecc.
«Cosa fate voi artisti per difendere la patria?», chiese un generale polemico a un regista famoso.
«Noi rendiamo la Patria degna di essere difesa», rispose l’acuto regista.
Il patrimonio culturale può e deve essere difeso con l’aiuto di sponsor privati, ma la difesa del patrimonio artistico e culturale della nazione è indubitabilmente compito dello Stato ed è lo Stato in primis a doversene fare carico. Crisi o non crisi, né in Francia né in Germania, per esempio, lo Stato ha tagliato le spese per la cultura. L’Opera Lirica Italiana, infatti, non può essere considerata una forma semplice di spettacolo, così come la Sistina non può essere assimilata a un trompe l’oeil in un centro commerciale.
Cosa sono le fondazioni lirico sinfoniche
Sono gli ex “enti lirici” i quali hanno delle masse stipendiate tutto l’anno assunte con contratti a tempo indeterminato. Fra i dipendenti figurano sia gli artisti stabili (in genere orchestra, coro e i maestri collaboratori), che tecnici (scene, attrezzeria, sartoria, luci, fonici), che amministrativi. Le fondazioni sono la fucina della attività artistica operistica e sinfonica di alto livello in Italia. Dotate di organici artistici stabili come accade in tutti gli altri teatri del mondo, le fondazioni permettono di allestire produzioni di altissimo valore artistico.
Le fondazioni si distinguono dai teatri cosiddetti di tradizione per il fatto che questi ultimi non hanno organici stabili e, visto che sono attivi per pochi mesi l’anno e con poche recite, assumono personale artistico e tecnico solo per il periodo delle messe in scena. Oggi è a rischio soprattutto l’esistenza delle fondazioni lirico sinfoniche le quali per funzionare hanno bisogno di più risorse dei normali teatri di tradizione o dei festival stagionali.
Perché bisognerebbe salvare i teatri lirici
Perché sono il luogo dove si mantiene vivo e operante uno dei nostri patrimoni culturali più importanti e riconosciuto in tutto il mondo. Perché negli anni nei nostri teatri lirici sono cresciute e si sono formate tante professionalità di livello internazionale: cantanti, musicisti, maestri di palcoscenico, pianisti, scenografi, addetti luci, sarti, tagliatori, costumisti, ecc. ecc. che (veramente) tutto il mondo ci invidia. Perché sarebbe veramente triste che da qualche parte del mondo ad ogni ora vada in scena un’opera lirica italiana, e che proprio in Italia si abolisca il mantenimento del patrimonio.
Cosa succede in Italia ai teatri lirici
Succede che il FUS o Fondo Unico dello Spettacolo, e cioè di fatto lo strumento che ha lo stato per finanziare i teatri lirici italiani assieme ad altre forme di spettacolo, è stato in questi anni decurtato fino a raggiungere una cifra estremamente bassa. Questo fa sì che praticamente tutti i teatri lirici italiani si trovino nella assurda situazione di non poter più produrre spettacoli perché con i soldi ora a disposizione potrebbero a malapena pagare gli stipendi del personale stabile. Non restano praticamente risorse per allestire spettacoli e produzioni e per pagare le compagnie di canto.
Uno dei maggiori problemi è dato dal fatto che in questi ultimi anni i tagli sono arrivati di sorpresa anno per anno e questo ha causato in molti casi l’ampliamento dei già onerosi debiti delle Fondazioni a causa delle stagioni programmate prima dei tagli. Per la programmazione della attività di un teatro, ancor più importante della quantità dei soldi a disposizione, è la certezza triennale degli importi. Tutti i teatri del mondo, tranne in Italia, programmano la loro attività con cadenza minimo triennale e gli artisti e i fornitori pianificano gli impegni per questi periodi. La certezza della quantità dei soldi a disposizione nel FUS è stata la principale causa del dissesto di tutte le fondazioni liriche italiane.
Cosa si potrebbe fare per salvare i teatri lirici, subito
I teatri lirici italiani, stando così le cose, potrebbero salvarsi attuando una politica di rigore e di controllo dei conti in tutti i comparti. In particolare alcuni rimedi sono immediatamente possibili:
– Tarare i compensi degli artisti in base alle possibilità di capienza e di incasso di ogni teatro. Per intenderci, l’Arena di Verona potrebbe pagare bene delle star del canto (capienza 16mila paganti) mentre il delizioso Lauro Rossi di Macerata dovrebbe viceversa contenere di molto i cachet.
– Incentivare le coproduzioni fra teatri. Non ha più senso oggi che ogni teatro produca diversi allestimenti dello stesso titolo, scritturando quindi i cast per un maggiore numero di recite.
– Attivare anche in Italia il sistema del “repertorio” che vige in tutti i teatri del mondo (tranne che in Italia): in soldoni ogni teatro dovrebbe avere alcune produzioni proprie di titoli del grande repertorio italiano (Turandot, Traviata, Butterfky, Trovatore, Aida, ecc. ecc.) da riproporre ogni anno per un dato numero di recite. Questi titoli infatti hanno la curiosa caratteristica di attrarre ancora oggi un grandissimo numero di spettatori tale da giustificare un grande numero di richieste al botteghino e permettono di ottenere dagli incassi (tarando i cachet degli artisti opportunamente) fondi accessori per i bilanci.
– Utilizzare i laboratori scenografici e sartoriali presenti all’interno di molti teatri italiani senza ricorrere al noleggio dei materiali e di scene da parte delle strutture esterne.
– Pianificare i cartelloni con cadenza triennale in modo da poter contrattare con gli artisti compensi agevolati. Anche per i cantanti la chiamata dell’ultimo minuto si paga più caro, come per gli idraulici.
– Ricontrattare azienda per azienda gli integrativi e le indennità dei dipendenti che sono state stipulate in un periodo in cui la disponibilità dei fondi statali era diversa: circa più del doppio di ora.
Cosa si sta facendo, invece
In generale più o meno nulla, o meglio poco. Le fondazioni sono ancora quasi tutte governate dalla vecchia classe dirigente che manca di fantasia e di strumenti culturali necessari per affrontare la situazione presente. Qualche teatro si dà da fare, come il Maggio Fiorentino o come La Scala che da sempre fa caso a sé, ma tanti altri teatri se la vedranno male e chiuderanno. In buona sostanza, davanti a una nuova situazione drammatica dal punto di vista economico, si tarda a cambiare il modo di gestire.
L’unica soluzione che la vecchia classe dirigente delle fondazioni sta adottando – sto fasciando tutte le erbe e me ne rendo conto – è quella di diminuire sempre più le aperture di sipario e basta. Praticamente se i soldi dello Stato bastano a malapena per pagare gli stipendi, non si produce quasi più, non si pagano più gli artisti e i fornitori e praticamente si finisce per pagare gli stipendi a fronte di una irrisoria produzione artistica. «Non ci sono più soldi per pagare gli allestimenti» dicono queste prefiche al capezzale della lirica. Non viene in mente a nessuno una qualsiasi soluzione alternativa, nonostante qualcosa si possa ben fare.
Prima o poi porranno la fatidica domanda, ai lavoratori delle fondazioni: «Ma è mai possibile che vi si paghi 14 mensilità per andare in scena quattro volte l’anno? Basta sprecare soldi con la lirica che è anche un brutto spettacolo!!». E tutto sarà allora compiuto, perché in fondo, avranno ragione agli occhi di tutti. A questo porterà infatti il vecchio metodo di gestione dei teatri che ancora resiste.
Dal 2012 (se non finisce il mondo) per assistere a una Traviata non resterà che Zurigo, o Barcellona, o Parigi, o Vienna, o Berlino, o Copenhagen, o Lubjana, o Helsinki, o Amsterdam, o New York, o Lima, o Toronto, o Buenos Aires, o Seoul, o Tokyo o Sidney, o tantissime altre città del mondo.
Dovunque ma non più in Italia.
foto: CROSERA/POOL/LAPRESSE