La carta del governo per dividere il Terzo Polo
Si chiama ddl Calabrò, cioè la discussa e contestata legge sul testamento biologico
La politica italiana ci aveva lasciati, nel 2010, con un governo zombie. Zombie in senso strettamente tecnico, prima ancora che politico: morto che cammina. Un governo che barcolla, pronto a crollare definitivamente da un momento all’altro, che può contare sul consenso di una minoranza parlamentare e si tiene in piedi solo perché si tratta di una minoranza leggermente più cospicua di quella che invece vorrebbe sfiduciarlo. La cosa è nota a tutti, anche dentro il centrodestra, e per questo fin dal voto di fiducia del 14 dicembre si discute della necessità di un allargamento della coalizione che sostiene il governo, se questo vuole rimanere in piedi un altro po’.
La campagna acquisti non ha dato ulteriori soddisfazioni a Berlusconi, però. Le offerte all’UdC non si sono trasformate in niente di concreto, i finiani non hanno perso nemmeno un pezzo. Siamo ancora esattamente dove eravamo prima. In termini concreti, questo vuol dire che il governo rischia di andare sotto ogni volta che si trova ad affrontare un voto alla Camera. Ogni volta. Con tutti i transfughi e i riciclati e soprattutto con tutti i ministri deputati presenti per votare, il governo alla Camera può contare al massimo su 314 voti, su un totale di 630 deputati. Se non si riescono a trovare altri deputati disposti a cambiare casacca, se non si riesce a stipulare un accordo con l’UdC o con i finiani, al governo non rimane allora che tentare di mettere sul tavolo dei provvedimenti ai quali un pezzo del cosiddetto Terzo Polo non possa dire di no. Qualcuno ci sarebbe, effettivamente, e oggi sul Corriere della Sera se ne occupa Monica Guerzoni.
Secondo il Corriere, infatti, tra l’11 e il 12 gennaio la conferenza dei capigruppo della Camera potrebbe riunirsi per calendarizzare la discussione sul disegno di legge Calabrò. Il cosiddetto disegno di legge sul testamento biologico, e scriviamo cosiddetto perché in realtà – come hanno commentato in questi mesi illustri esperti e opinionisti – è tutt’altro che un disegno di legge sul testamento biologico, considerati i molti limiti che pone alla possibilità dei cittadini di decidere se e quando rinunciare alle cure o all’alimentazione e all’idratazione forzata. La legge Calabrò è stata approvata dal Senato nel marzo del 2009, più di un anno e mezzo fa, sulla scia del decreto legge che il governo era sul punto di emanare per ripristinare l’alimentazione e l’idratazione di Eluana Englaro. Poi le cose hanno rallentato molto, per le difficoltà della maggioranza e per gli innumerevoli profili problematici di quella legge. Il ddl Calabrò, infatti, limita molto le scelte dei cittadini riguardo i propri trattamenti terapeutici, proibisce la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione, i ogni caso, rende non vincolante la Dichiarazione anticipata di trattamento: il cittadino decide, ma poi il medico se vuole può fare di testa sua. Lo scorso maggio, comunque, la legge è stata approvata anche dalla Commissione affari sociali della Camera.
Ora il PdL vuole portare la legge in discussione e in votazione alla Camera, nella speranza che questo serva a stanare la parte più clericale del Terzo polo. Maurizio Lupi, vicepresidente dei deputati del PdL, ha commentato la situazione in modo piuttosto infelice: «L’iter è finito da oltre quattro mesi, non possiamo tenerla ancora lì col rischio di farla morire». Il ministro del welfare Sacconi ha chiesto che il ddl Calabrò sia messo all’ordine del giorno dei lavori della Camera.
Il piano di Palazzo Chigi è fin troppo esplicito: usare il grimaldello dei temi sensibili per spaccare il Fli e dividere la strada di Fini da quella di Casini. Come dice Eugenia Roccella, «con l’Udc sulla biopolitica c’è una alleanza naturale, che potrebbe andare ben oltre questi temi». Il sottosegretario alla Salute è ottimista e ricorda come, con il voto segreto, il governo abbia trovato maggioranze più ampie proprio sulle questioni sensibili: «Questa legge la porteremo a casa, il governo ci tiene molto. Contro il diritto a morire c’è uno schieramento trasversale e finiani come la Moroni o Benedetto Della Vedova dovranno chiedersi se vogliono morire democristiani».
L’ultima frase di Roccella è piuttosto criptica: votare contro il ddl Calabrò vuol dire morire democristiani? Persino “essere democristiani” è diventato una parafrasi di “essere laicisti”? Forse c’è stato un qualche errore nella scrittura della dichiarazione da parte delle agenzie di stampa. Di certo la questione è sul tavolo: il governo starebbe seriamente considerando l’ipotesi di puntare sul ddl Calabrò per fare quello che non riuscito a fare durante le feste, spaccare l’opposizione. Lo farebbe nella speranza che un pezzo di opposizione non riesca a dire di no al ddl Calabrò, e magari litighi con l’altro pezzo. D’altra parte, se per Enzo Carra, dell’UdC, «Berlusconi non riuscirà a prendere Casini all’amo dell’etica», per Paola Binetti dell’UdC quella sul testamento biologico è invece una legge da approvare «a ogni costo», e non ci sarebbe il rischio di spaccare il nascente Polo della Nazione visto che in Futuro e Libertà «salvo il gruppo di testa sono tutti dalla nostra parte». Il “gruppo di testa” sarebbero Fini, Bocchino, Granata, Perina, Della Vedova: loro si sono espressi più volte a favore della libertà di scelta da parte dei pazienti. Ed è vero che c’è un altro pezzo di Futuro e Libertà, invece, che ha dimostrato più volte di tenere in ben altra considerazione i precetti e le direttive della Chiesa cattolica. La linea del “gruppo di testa”, in questa fase, sarebbe lasciare libertà di coscienza.
Benedetto Della Vedova non elude la questione: «Io non do per certa una divisione, ma se pure avvenisse non sarà una tragedia. Non stiamo costruendo un partito etico e monoculturale» . Laici e cattolici nella visione del deputato ex radicale possono stare insieme: «Non escludo che dentro Fli si costruisca una posizione comune, come astenersi o votare alcuni emendamenti per cambiare la legge».
foto Marco Merlini/LaPresse