La sinistra italiana è conservatrice?
Angelo Panebianco sul Corriere della Sera ripropone una questione assai dibattuta e ancora aperta
La questione è assai dibattuta da quasi un decennio ed è condizionata da un problema linguistico: dove convenzionalmente ci si riferisce alla sinistra come “progressista” e alla destra come “conservatrice”, si sottende a volte che qualsiasi cambiamento è da considerarsi un progresso, e quindi ogni resistenza al cambiamento è da considerarsi conservatore. Non è certamente così, ma nel caso della sinistra italiana la faccenda rimane aperta. Perché ci possono essere certamente nobili ideali progressisti nell’opposizione a questo o quel progetto di cambiamento, ma da più parti negli ultimi anni – e molto anche da parte della stessa sinistra, bisogna dire – si sostiene che la sinistra italiana abbia fatto della conservazione dell’esistente non una posizione occasionale bensì il proprio principio guida. Approfittando della discussione interna al Partito Democratico sulla FIAT, oggi Angelo Panebianco sul Corriere della Sera affronta questo nodo e gira il coltello nella piaga.
C’è qualcosa che accomuna l’opposizione della Fiom all’accordo Fiat-sindacati su Mirafiori e quella del Partito democratico alla riforma Gelmini dell’università, appena varata dalla maggioranza di governo. Sono le due più recenti manifestazioni di quella strenua difesa dello statu quo in qualunque ambito della vita sociale, politica, istituzionale, che è ormai da tempo la più evidente caratteristica della sinistra italiana, nella sua espressione sindacale come in quella politico-parlamentare. Si tratti di scuola, di rapporti di lavoro, di magistratura, di revisioni costituzionali o quant’altro, non c’è un settore importante della vita associata in cui il conservatorismo della sinistra non si manifesti con forza.
Forse ciò aiuta a spiegare una circostanza che sarebbe altrimenti incomprensibile: il fatto che l’opposizione di sinistra non si sia minimamente avvantaggiata in questi anni, stando ai sondaggi, delle gravi difficoltà di un governo che ha dovuto fronteggiare le conseguenze della crisi mondiale e che è stato inoltre investito da scandali e furibonde divisioni. Tanto è vero che tutti continuano a prevedere, in caso di elezioni, una vittoria (quanto meno alla Camera) del centrodestra.
La domanda che la sinistra italiana dovrebbe porsi è la seguente: perché nemmeno la forte disillusione di tanti italiani nei confronti di Berlusconi, il fatto che ormai più nessuno creda nella «rivoluzione liberale» sempre promessa e mai attuata spostano a sinistra l’asse politico del Paese? Può essere che la risposta giusta sia la seguente: dovendo scegliere fra ciò che ritiene un male (Berlusconi) e ciò che ritiene un male ancora maggiore (la sinistra), il grosso degli italiani continua a optare per la minimizzazione del danno, per il male minore. Una delle ragioni, forse, è che, tolta una cospicua ma minoritaria area di conservatori a oltranza, la maggioranza relativa degli italiani pensa che stare fermi condannerebbe il Paese alla decadenza economica e sociale e che risposte magari insufficienti, o anche sbagliate, ai problemi collettivi, siano comunque preferibili alle non risposte.