La lettera dei finiani teocon
Pubblicata sul Corriere, ribadisce la contrarietà al "fondamentalismo laicista" di alcuni esponenti di FL
All’inizio di dicembre 35 parlamentari di Futuro e Libertà avevano sottoscritto un manifesto con cui si definivano “laici credenti”, ancora una volta per arginare la parte più laica – “laicista”, dicono loro – del partito di Gianfranco Fini. Oggi un simile testo è pubblicato sul Corriere della Sera, in forma di lettera. Stavolta però i firmatari sono otto.
Futuro e libertà non è ancora un partito e, tuttavia, già viene testato, valutato, criticato, contestato come se fosse tale, e, soprattutto, come se fosse già delineato il suo profilo identitario. Vale per il posizionamento politico, vale per l’impianto valoriale. Nonostante la ribadita collocazione all’interno dell’area di centrodestra e il consequenziale ancoraggio, culturale e politico, al Ppe, la vocazione laica, da destra europea di Fli, è stata semplicisticamente tacciata di laicismo. Sicché, è utile qualche puntualizzazione, al fine di alimentare un dibattito fondato sul giudizio e non sul pregiudizio.
Noi riteniamo che Futuro e libertà, nel rispetto delle sue diverse anime, abbia l’ambizione di interpretare nella modernità i valori cattolici di cui è intrisa la nostra comune identità nazionale. Valori che rimandano alla centralità della persona, al sentimento di solidarietà, al senso di accoglienza e di apertura verso l’altro, alla ricerca dell’incontro tra scienza e fede per il diritto alla vita. D’altra parte è il nostro stesso Manifesto ad auspicare un’Italia «civile, generosa, tollerante e accogliente», «che promuova la legalità», «un’Italia solidale, attenta ai più deboli e agli anziani, fondata sulla sussidiarietà, che valorizzi l’associazionismo e il volontariato», «rispettosa della dignità di ogni persona, cosciente della funzione educativa e sociale della famiglia».
Si tratta di un patrimonio di valori che ha nella fede cristiana un solido ancoraggio come ha riconosciuto lo stesso Gianfranco Fini a Bastia Umbra, sottolineando «il ruolo fondamentale che ha nella società occidentale la religiosità e in quella italiana l’insegnamento di Santa romana chiesa». Siamo consapevoli, tuttavia, che l’esposizione mediatica rischia di fare apparire come cultura prevalente posizioni legittime ma non ampiamente condivise.
Noi riteniamo che il giusto richiamo alla laicità dello Stato debba evitare il rischio di scivolare nel fondamentalismo laicista, a partire dal tentativo di estendere l’istituto giuridico del matrimonio alle coppie omosessuali; come solennemente affermato da Benedetto XVI, ogni bambino ha diritto a un padre e ad una madre.
Dobbiamo essere vigili rispetto alle trappole del relativismo etico, un fenomeno figlio anche di quell’immaturità che l’Europa dimostrò quando decise di omettere ogni riferimento alle comuni radici giudaico-cristiane nei lavori della Convenzione Europea, nonostante gli sforzi compiuti in tal senso da Gianfranco Fini. Difendere le nostre radici vuol dire difendere la nostra cultura, i diritti civili e il grado di libertà di cui godiamo. Risuonano in questo senso chiarissime le parole che pronunciò uno dei padri dell’Europa moderna, Robert Schumann: «La democrazia deve la sua origine e il suo sviluppo al cristianesimo. È nata quando l’uomo è stato chiamato a realizzare la dignità della persona nella libertà individuale, il rispetto dei diritti degli altri e l’amore verso il prossimo. Prima dell’annuncio cristiano tali principi non erano stati formulati, né erano mai divenuti la base spirituale di un sistema di autorità» .
Negare questo presupposto vorrebbe dire costringere la nostra società al declino e alla progressiva cancellazione. In tal senso, è necessario riflettere sul richiamo del cardinale Angelo Bagnasco, a proposito del «lento suicidio demografico» a cui sta andando incontro l’Italia. Un’emergenza che richiede innanzitutto politiche per la natalità e la famiglia, ma che non può prescindere dal misurarsi con il tema della cittadinanza ai figli degli immigrati nati sul suolo italiano. Una scelta di buonsenso per i «nuovi italiani», capaci di sentire davvero l’Italia come la propria patria e di vivere fino in fondo l’orgoglio della loro appartenenza, come da tempo non sanno più fare i «vecchi italiani» , anche perché vittime di movimenti e culture che evocano i valori cattolici e praticano l’egoismo e la discriminazione.
Antonio Buonfiglio
Roberto Menia
Andrea Ronchi
Pasquale Viespoli
Roberto Rosso
Daniele Toto
Giuseppe Scalia
Angelo Pollina