Il mantra degli arresi
Massimo Gramellini sogna uno "tsunami morale" che risvegli l'Italia dal suo vittimismo
«’un si pòle» era, in toscano, il modo in cui i fiorentini sembravano abituati a declinare lo “Yes we can” obamiano, raccontava a quei tempi Matteo Renzi in campagna elettorale da sindaco. Ieri sulla Stampa lo stesso accostamento è fatto da Massimo Gramellini in cerca di qualcosa che sottragga l’Italia al suo recente destino di “crisi epocale”.
Il 2010 è stato l’anno delle sabbie mobili: né avanti né indietro, ma sempre più a fondo. Si discute di nucleare, mentre l’energia di cui avremmo maggiormente bisogno è la passione. Quella che ti spinge prima a immaginare il futuro e poi a crearne uno. Gli innocenti non sapevano che la cosa era impossibile e per questo la fecero, scriveva Bertrand Russell. E invece, dopo la breve sbornia obamiana, «yes we can» ha lasciato di nuovo il posto a «non si può», che è il mantra degli arresi, la gabbia contro cui si spiaccicano i sogni.
Il 2010 si chiude con gli studenti in piazza e presto potrebbe toccare ai pensionati e persino agli occupati, perché se gli stipendi stanno diventando cinesi, il costo della vita rimane drammaticamente europeo. Ci si può opporre a questa crisi epocale che ha cambiato il flusso millenario della storia? No, ma ci si può convivere. Purché tutti facciano qualcosa. E in quel tutti ci siamo davvero tutti.
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