L’Estonia nell’euro
Dal primo gennaio un nuovo paese nella moneta unica, e quindi anche delle nuove monete in giro
È tutto pronto. Dal primo gennaio, le nuove monete con il profilo del paese e la scritta Eesti saranno nelle tasche dei cittadini, insieme alle banconote in euro che conosciamo tutti. E l’Estonia, nel momento peggiore della storia di Eurolandia, entrerà nell’Unione monetaria, come 17° membro.
Sarà l’ultimo, per un po’ di tempo. Solo Lettonia e Lituania, tra gli altri paesi della Uem, aderiscono già all’Erm II, il meccanismo di cambio che prelude per almeno due anni all’adozione dell’euro. Difficilmente, però, entreranno prima del 2015, quando potrebbero essere raggiunti, se la rigida tabella di marcia sarà rispettata, dalla Bulgaria. Allo stato, occorrerà aspettare il 2020 per vedere aderire a Eurolandia tutti i paesi orientali attualmente nell’Unione. Resteranno fuori, ma comunque in marcia di avvicinamento verso Bruxelles, la Croazia (che potrebbe entrare presto nella Ue), la Serbia e la Turchia.
Il paese è molto piccolo, quasi un microstato. Il suo Pil raggiungerà i 14 miliardi di euro a fine anno: meno di un centesimo di quello italiano, meno di un decimo di quello irlandese. Quanto la provincia di Bolzano, insomma. Non entra però in punta di piedi. Forte di una crescita 2010 prevista al 2,4% – dopo un 2009 in contrazione del 13,9% – di un deficit pubblico pari all’1,3% del Pil e di un debito pubblico pari a un misero 8%, e malgrado un’esposizione con l’estero pari al 121% del Pil a causa dei mutui in valuta straniera delle famiglie, il ministro delle Finanze Jurgen Ligi ha voluto dare qualche settimana fa una lezione a tutti i paesi della periferia di Eurolandia piagati dalla crisi del debito pubblico: «Una gran parte della fiducia», ha detto, «è legata alla politica fiscale. Devono adottare più misure di austerità – ha quindi aggiunto – per guadagnarsi la fiducia dei mercati». Allo stesso modo – e la cosa non può sorprendere – Tallinn si è schierata contro gli e-bond. «Non penso – ha detto ancora Ligi alla Reuters – che debba esistere un simile strumento e di queste dimensioni: toglie ad alcuni paesi la responsabilità di risolvere i loro problemi».