Paura di cambiare
Irene Tinagli pone la questione di come far progredire un paese che sogna di tornare indietro
Al Post abbiamo avuto qualche perplessità sull’analisi di Irene Tinagli pubblicata oggi sulla Stampa: condividiamo la visione che dice “l’Italia esce dai suoi guai solo se si dispone a cambiare vita e a sacrifici”, ma temiamo che sarà molto difficile ottenere quei sacrifici solo sulla base di galline domani, senza neanche un uovo oggi. Ma ce n’è abbastanza per pensare e discutere.
Alcuni commentatori negli ultimi giorni hanno evidenziato l’impasse politica italiana, in cui una coalizione di governo ormai debole e monca resta tuttavia «aggrappata» al potere, come ha scritto il Financial Times. Pochi però si sono soffermati ad analizzare il contesto sociale che accompagna questa crisi, un contesto in cui sta germogliando un paradosso preoccupante per il futuro del Paese.
Da un lato infatti siamo di fronte ad un governo che fatica ad agire e che ha fallito la sua missione più importante.
Ovvero quella della rivoluzione liberale tanto declamata agli inizi. Come ci dicono anche gli ultimi dati la pressione fiscale in Italia è aumentata, la burocrazia non si è snellita, le amministrazioni pubbliche sono aumentate anziché diminuire, le liberalizzazioni sono bloccate, le professioni ancora più protette e la concorrenza in molti settori è ancora al palo. Dall’altro lato però troviamo un’opposizione – non solo politica ma anche civile e sociale – che anziché incalzare sul fronte delle riforme, dell’innovazione sociale ed economica, del progresso, si chiude sulla difesa dell’esistente, legittimando e dando voce ad una miriade di piccoli o grandi conservatorismi che nell’ultimo anno sono esplosi ovunque.
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