Cosa succede adesso
Come siamo messi, da adesso in poi: gli scenari possibili sulla sopravvivenza del governo
Il governo Berlusconi ieri ha ottenuto la fiducia sia alla Camera che al Senato, garantendosi così la sopravvivenza nonostante l’uscita dalla maggioranza di Futuro e Libertà.
Al Senato il risultato è stato ottenuto con una maggioranza sufficientemente larga: il quorum era 161 voti, il governo ne ha ottenuti 162, ma l’opposizione si è fermata a quota 135. Se anche i dieci finiani avessero votato contro, invece che astenersi, questo avrebbe portato l’opposizione a 145: non abbastanza da insidiare il governo. Alla Camera, come sappiamo, la situazione è ben diversa: il governo ha vinto con soltanto tre voti di scarto, fermandosi a quota 314. A Montecitorio però il quorum è fissato a quota 316.
Questo vuol dire che il governo ha vinto, oltre che grazie al voto di appena due deputati, anche grazie all’indispensabile astensione dei due parlamentari della SVP. E quindi vuol dire che è sopravvissuto al voto di ieri ma si trova in questo momento praticamente privo di margini per poter governare. La conversione in legge del decreto sui rifiuti, che avrebbe dovuta essere discussa e votata oggi alla Camera, con ogni probabilità sarà rinviata. Ma non si può rinviare per sempre, così come non si possono rinviare altri passaggi importanti che devono essere sottoposti al Parlamento: su tutte la riforma Gelmini, il decreto “milleproroghe” e la mozione di sfiducia nei confronti del ministro Bondi.
Berlusconi ha già detto – ieri e l’altroieri, in aula e fuori dall’aula – che il suo obiettivo è “allargare la maggioranza”. Più che un obiettivo si tratta in effetti di una condizione necessaria alla sopravvivenza del suo governo: ed è evidente che deve trattarsi di un allargamento politico, di un patto con una forza oggi all’opposizione – di un ribaltone, in pratica – se non vuole essere costretto a rinnovare all’infinito il calciomercato e aggrapparsi alla volatile volontà dei parlamentari della SVP o degli indecisi cronici di cui stavolta ha beneficiato.
Si parla quindi dell’UdC, che però ieri ha fatto sapere in tutte le salse di non essere intenzionata a fare “la stampella della maggioranza”. Parole di Casini, parole di Cesa, parole di Buttiglione. Ovviamente non si può prevedere cosa farà alla fine il partito di Casini, e Berlusconi si prenderà certamente il tempo delle vacanze natalizie per tirare il fiato e fare una proposta organica ai centristi: crisi di governo pilotata, loro ingresso nell’esecutivo, ampia offerta di incarichi importanti, garanzie sugli argini posti al protagonismo della Lega e, soprattutto, sulla durata non inferiore a un anno di quel patto di governo. Poi concessioni sul programma: revisione della legge elettorale, revisione della legge sul federalismo, introduzione del quoziente familiare, programmi di spesa per far ripartire la crescita economica.
È evidente però che il governo non può fare tutto e tutto insieme. La-coperta-è-corta, dicono quelli. Ciascuna delle cose di cui sopra può potenzialmente spazientire un altro pezzo della maggioranza, sia questo Tremonti o la Lega Nord, e insomma anche la nuova maggioranza allargata rischia di non essere molto più stabile di quella attuale. Ancora più incerta pare la possibilità che l’allargamento della maggioranza corrisponda soltanto all’arrivo di altri tre o quattro dissidenti di Futuro e Libertà. E d’altra parte Casini da tempo gioca su una linea che ha dato qualche frutto, in termini di consensi, ponendosi come acerrimo critico del bipolarismo e alternativo ai due schieramenti in campo: il suo ingresso nel governo sarebbe la contraddizione di ogni parola detta negli ultimi due anni e mezzo.
Se, quindi, il governo sembra avere comunque vita breve, non è chiaro cosa accadrà dopo la sua eventuale fine. Il voto di ieri, oltre alla debolezza del governo, fornisce un altro dato incontestabile: la debolezza estrema di qualsiasi altro progetto di maggioranza alternativa a quella attuale, che alla Camera non c’è e potrebbe esserci solo grazie al buon cuore di Scilipoti, Moffa e Calearo, mentre al Senato non c’è e non ci sarà mai. Per questa ragione la possibilità che il governo cada all’inizio del prossimo anno, tra gennaio e febbraio, per andare a votare tra marzo e aprile, guadagna moltissimo terreno su tutte le altre. A meno di grossi smottamenti politici che ieri sembravano possibili e oggi sembrano quantomeno improbabili, l’ipotesi di un governo di transizione allo scopo di cambiare la legge elettorale e garantire stabilità al Paese non ha contatto con la realtà. Non succederà. Ci teniamo questa legge elettorale ancora per un po’. E ci teniamo pure Berlusconi.
foto: ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images