La confusione su Sakineh
La televisione iraniana ha smentito il rilascio di Sakineh Mohammadi Ashtiani
La televisione iraniana in inglese PressTv ha smentito il rilascio di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna condannata alla lapidazione per adulterio e complicità nell’omicidio del marito, spiegando che è stata portata nella sua abitazione solo per realizzare un programma che sarà trasmesso questa sera.
La notizia della liberazione era stata data ieri dal Comitato internazionale contro la lapidazione, di base in Germania, e aveva iniziato a circolare sui media italiani intorno alle 19,20 senza spiegazioni sulla sorprendente inversione della vicenda. Il rappresentante del Comitato in Italia aveva detto che Sakineh e suo figlio, Sajjad Ghaderzadeh, anche lui arrestato lo scorso ottobre, erano stati visti nel cortile della loro casa di Tabriz, nel nord-ovest dell’Iran.
PressTv aveva effettivamente diffuso alcune fotografie di Sakineh e del figlio all’interno della loro casa. Ma oggi ha spiegato sul suo sito che «contrariamente ad una vasta campagna di propaganda da parte dei mezzi di informazione occidentali secondo cui l’assassina Sakkineh Mohammadi-Ashtiani è stata rilasciata, una nostra equipe televisiva ha concordato con l’autorità giudiziaria di seguire la Ashtiani nella sua abitazione per produrre una ricostruzione video dell’omicidio sulla scena del delitto».
Sakineh Asthiani si trova in un carcere di Tabriz da cinque anni. Prima era stata accusata di adulterio e punita con novantanove frustate davanti a uno dei figli, poi accusata di avere partecipato all’omicidio del marito. Assolta da un primo processo, è stata in seguito condannata alla lapidazione. In seguito alle pressioni della comunità internazionale, il tribunale iraniano aveva deciso di rinviare l’esecuzione della sentenza. Poi aveva fatto sapere che l’esecuzione ci sarebbe stata comunque, ma con un’altra modalità: impiccagione invece di lapidazione. È già comparsa tre volte in video trasmessi dalla tv iraniana in cui confessa di essere colpevole dell’omicidio del marito. Le organizzazioni umanitarie che si battono per la sua liberazione sostengono che in tutti e tre i casi si è trattato di confessioni estorte con la forza.