L’attesa per il referendum in Sudan
Il referendum di gennaio decreterà quasi sicuramente la secessione del sud del paese
Tra un mese in Sudan si voterà un referendum per decidere della secessione tra nord e sud. Se le elezioni si svolgeranno regolarmente, è praticamente certo che il sud del paese voterà in blocco per l’indipendenza. La nuova nazione – che avrebbe un’estensione pari a quella della Francia – avrebbe come capitale Juba, una città che ha solo cinque strade asfaltate.
Negli ultimi sei mesi gli abitanti di Juba si sono dati appuntamento ogni nove del mese per marciare attraverso le strade della città. Una specie di conto alla rovescia in attesa del referendum del prossimo nove gennaio. Ieri il corteo è sfilato per l’ultima volta, in coincidenza con la chiusura delle procedure di registrazione per il voto. Secondo le autorità del Sudan meridionale, più di 2,8 milioni di persone si sono registrate per votare, anche se questo numero è destinato probabilmente ad aumentare. Le Nazioni Unite dicono che più di 50mila persone che vivono attualmente nella parte settentrionale del paese sono tornate al sud apposta per votare. Molti altri sono tornati in Sudan dai paesi in cui erano emigrati a causa della guerra civile.
La guerra tra nord e sud del paese era durata oltre vent’anni – dal 1983 al 2005 – causando più di due milioni di morti e quattro milioni di dispersi. Gli accordi di pace firmati nel 2005 tra il governo di Karthoum e l’esercito di liberazione (Sudan People’s Liberation Army) garantivano tre cose fondamentali al sud: partecipazione al governo centrale, spartizione al 50 per cento delle risorse petrolifere del paese (le risorse maggiori si trovano al sud) e possibilità di votare per la secessione con un referendum nel 2011. Da quando il Sudan ottenne l’indipendenza dal Regno Unito nel 1956, gli abitanti del sud sono stati marginalizzati, terrorizzati e sottoposti a continue vessazioni e violazioni di diritti civili e umanitari da parte dei vari regimi di Karthoum. Per questo considerano l’indipendenza un diritto sacro.
Il presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir – recentemente incriminato dalla Corte Penale Internazionale con l’accusa di genocidio nel Darfur – ha detto che non si opporrà ai risultati delle elezioni, ma nessuno si aspetta che l’esito possa essere davvero pacifico. Anche perché il conflitto per il controllo sulle risorse petrolifere ormai non è più solo una questione di nord contro sud, ma ha finito per esasperare anche le tensioni tra gruppi etnici diversi all’interno della stessa regione meridionale. I Dinka sono l’etnia dominante e gli altri gruppi temono che non avranno nessuna intenzione di condividere il loro potere una volta ottenuta l’indipendenza da Karthoum. Nonostante la sua ricchezza petrolifera, il sud del Sudan resta una delle regioni più povere del mondo: i suoi oltre dieci milioni di abitanti vivono di agricoltura su territori prevalentemente desertici.