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  • Giovedì 9 dicembre 2010

Le giurie americane ai tempi di internet

L'imparzialità dei giurati è complicata dalla ricerca in rete di informazioni sugli imputati e dai commenti sui social network

di Emanuele Menietti

Susan Dennis ha 61 anni, vive con i suoi due gatti in un appartamento nel centro di Seattle, cuce orsetti di peluche e racconta la sua vita online. La scorsa primavera, Susan ha trovato nella buca delle lettere una convocazione del tribunale per partecipare alla selezione di una giuria per un processo. Dopo aver partecipato ai primi incontri, che servono alla difesa e alla accusa per conoscere meglio i potenziali giurati, Susan si è messa a raccontare online la selezione della giuria lasciandosi scappare qualche commento di troppo. Uno dei legali dell’accusa, per esempio, è diventato «il noioso signor vestito economico», mentre l’avvocato della difesa un tipo «carino» da uscirci «a pranzo insieme».

La cosa ha incuriosito un giornalista dell’agenzia di stampa Reuters, che ha deciso di interpellare Susan per una inchiesta sui giurati che utilizzano Internet per raccogliere informazioni sui processi, cosa che sarebbe tecnicamente vietata per evitare “contaminazioni” della giuria con dettagli non compresi nei dibattimenti processuali. Susan ha preferito non rispondere alle domande del giornalista, che si è così rivolto a un consulente esperto nella selezione delle giurie. Il caso della blogger è alla fine arrivato all’attenzione del tribunale di Seattle e il giudice che si occupava del processo ha deciso di eliminare Susan Dennis dalla lista dei potenziali giurati: raccontando online la selezione della giuria aveva violato una delle raccomandazioni del magistrato, che aveva imposto di non diffondere online alcun dettaglio sul processo e sulla selezione dei giurati.

La vicenda di Susan, che sul proprio blog si è difesa sostenendo che il giudice aveva parlato esclusivamente di non utilizzare Twitter, è solo una delle decine di casi che i tribunali statunitensi devono affrontare ogni anno a causa della contaminazione delle giurie dovute all’utilizzo dei social network, dei blog e delle altre risorse online da parte dei giurati desiderosi di raccogliere più informazioni sui processi cui partecipano. Stando a quanto riferisce Reuters, in molti casi l’utilizzo della Rete porta all’annullamento dei processi o alla revisione delle sentenze.

Per decenni, i tribunali hanno richiesto ai giurati di non cercare informazioni sui casi al di fuori delle prove presentate nel corso del processo, e i giurati sono in genere obbligati a non comunicare alcun dettaglio fino alla conclusione del processo. Ma oggigiorno, con pochi clic i giurati possono cercare alcuni termini legali su Wikipedia, visualizzare le scene del crimine tramite Google Earth, aggiornare i loro blog o i profili di Facebook con i loro commenti sui processi.

Abituati a condividere online con crescente frequenza le cose più importanti che capitano nella giornata, gli iscritti ai social network o i blogger che si ritrovano in una giuria non resistono alla tentazione di raccontare la loro esperienza in Rete, rischiando di compromettere il regolare svolgimento dei processi. Utilizzando gli smartphone, i giurati cercano di ottenere anche informazioni sugli imputati e sui crimini per i quali sono accusati, dimostrando a volte di essere inadeguati per il compito che stanno svolgendo.

Una corte di appello in Florida ha recentemente sovvertito un verdetto in un processo per omicidio perché è stato dimostrato che il capo dei giurati aveva cercato online, attraverso il proprio iPhone, il significato della parola “guardingo”. A giugno, in West Virginia, una corte di appello ha dato il via libera a un nuovo processo contro uno sceriffo accusato di corruzione dopo aver scoperto che uno dei giurati, nel precedente processo, aveva contattato l’imputato tramite MySpace. A settembre, nello stato del Nevada, un’altra corte ha acconsentito a celebrare un nuovo processo per violenza sessuale su una minorenne poiché il capo dei giurati aveva cercato online informazioni sulle tracce che solitamente rimangono sui corpi delle vittime di violenze sessuali.

Stando alle ricerche effettuate da Reuters, dal 1999 a oggi almeno una novantina di sentenze sono state messe in discussione per l’utilizzo di Internet da parte dei giurati. E il fenomeno è sensibilmente in aumento se si pensa che circa la metà di questi casi si sono verificati negli ultimi due anni. In 28 casi i giudici hanno deciso di far celebrare nuovi processi o sovvertire le sentenze. Altri processi non sono stati rivisti, ma i magistrati hanno comunque ammesso la contaminazione di alcuni giurati dovuta alla ricerca o alla diffusione di informazioni online.

Per rendersi conto del fenomeno è del resto sufficiente compiere una rapita ricerca su Twitter, uno dei sistemi più utilizzati negli Stati Uniti per comunicare rapidamente ai propri amici le proprie esperienze in tempo reale. Utilizzando la chiave di ricerca “jury duty” (incarico da giurato), compaiono numerosi messaggi spesso legati a processi specifici. Su Facebook, sui blog e sui forum i giurati si confrontano e raccontano le loro esperienze, contravvenendo di fatto a quanto stabilito dai tribunali.

Alcuni Stati hanno deciso di introdurre nuove leggi o nuovi regolamenti per arginare il fenomeno. In California una serie di norme vieta l’utilizzo di «qualsiasi mezzo di comunicazione elettronico», mentre negli Stati dove non ci sono regolamenti apposta, ogni giudice ha la facoltà di vietare l’utilizzo degli smartphone e dei portatili, che vengono spesso confiscati prima dell’inizio dei dibattimenti processuali. I giudici federali sono stati invitati a dare sempre regole chiare alle giurie, ricordando che ogni singolo giurato «non può utilizzare Internet, consultare siti web e blog o ricorrere a qualsiasi altro strumento elettronico».

Il fenomeno sembra essere però inarrestabile, e secondo numerosi giuristi andrebbe amministrato e non arrestato con regole intransigenti. Se un giurato decide di ricercare maggiori informazioni online, o di condividere la propria esperienza in Rete per ottenere consigli e suggerimenti, è perché spesso vive con frustrazione il proprio ruolo e la responsabilità di dover giudicare gli imputati sulla base di informazioni che ritiene spesso lacunose o poco chiare. Per Caren Myers Morrison, docente presso la Georgia State University Law School, l’attuale gestione del sistema delle giurie è anacronistico: «Dobbiamo ripensare il ruolo della giuria per il ventunesimo secolo e coinvolgere maggiormente le giurie nella ricerca attiva delle informazioni».