Immigrati accusati ingiustamente
La storia di Mohammed Fikri a Brembate non è che l'ultima di una lunghissima serie
di Francesco Costa
Come tutte le cose gestite e amministrate dagli uomini, nessun sistema giudiziario è perfetto: per quanto buona possa essere la fede delle persone che vi operano e adeguate le leggi che li guidano, le possibilità di compiere degli errori sono tutt’altro che remote. Nei casi in cui le leggi sono inadeguate o viene meno la buona fede, gli errori sono addirittura probabili. È la ragione per cui, per esempio, bisognerebbe evitare di usare le indagini e gli avvisi di garanzia come corpi contundenti, in politica e nella società. Gli errori capitano. Moltissimi, centinaia, sono noti e documentati. Altri non lo sono ancora, alcuni non lo saranno mai.
Nel vasto campionario di errori di cui si è resa protagonista la giustizia italiana negli ultimi anni, emerge un corposo filone di sospetti, indagini e in certi casi anche condanne ai danni di cittadini stranieri, rivelatisi poi del tutto infondati. Sia chiaro: gli errori purtroppo possono capitare, persino quando si è in buona fede, persino quando si pensa di aver deciso “al di là di ogni ragionevole dubbio”, come vorrebbero dottrina e buon senso. Nel caso degli extracomunitari, però, la casistica si sposa con una certa superficialità delle indagini, con l’estrema debolezza – in certi casi l’assenza – delle prove, con l’influenza di un movimento d’opinione colpevolista e razzista e la presenza di un pezzo di classe politica pronto a soffiare sul fuoco.
Claudio Cerasa, giornalista del Foglio, sul suo blog elenca i casi più recenti di immigrati accusati o condannati di reati che non avevano mai commesso. Noi abbiamo raccolto il suo elenco e lo abbiamo ulteriormente ampliato.
Mohammed Fikri a Brembate di Sopra, Bergamo
È il caso più recente, quello della scomparsa della tredicenne Yara Gambirasio. Fikri è un ragazzo marocchino arrestato nei giorni scorsi. Due gli indizi sul suo conto. Un’intercettazione telefonica in cui avrebbe detto “Che Allah mi perdoni, io non l’ho uccisa” e un biglietto per la Tunisia che proverebbe il tentativo di fuga. Durante la permanenza di Fikri in carcere, a Brembate alcune persone hanno esposto cartelli razzisti contro i marocchini. Dopo pochi giorni è venuto fuori che il viaggio in Tunisia era stato prenotato molto tempo fa e concordato col datore di lavoro di Fikri. E che la traduzione della frase di Fikri – che comunque diceva di non avere ucciso la bambina – era del tutto errata: l’uomo aveva detto semplicemente “Allah, per favore, fa’ che risponda”. Tra l’altro, la legge italiana prevede che le intercettazioni non possano essere utilizzate come prove, bensì come mezzi per la ricerca delle prove. Fikri è stato scarcerato oggi.
Azouz Marzouk a Erba, Como
L’11 dicembre del 2006 scoppia un incendio in un appartamento, a Erba. I pompieri arrivano e trovano quattro cadaveri e un uomo ferito gravemente. I cadaveri appartengono a Raffaella Castagna, sua madre Paola, suo figlio Youssef, la vicina di casa Valeria. L’uomo ferito è il marito di Valeria, Mario Frigerio, accoltellato alla gola. Le indagini e i sospetti si dirigono verso Azouz Marzouk, tunisino, padre di Youssef e marito di Raffaella Castagna. Marzouk ha precedenti per spaccio di droga, è uscito dal carcere con l’indulto e non si trova in circolazione: per giorni è il sospettato numero uno, nel consueto clima di caccia all’immigrato. In realtà Marzouk al momento del reato si trovava in Tunisia, e da lì torna precipitosamente in Italia e i carabinieri confermano il suo alibi. Pochi giorni dopo, grazie alla testimonianza di Frigerio, i vicini di casa Olindo Romano e Rosa Bazzi vengono arrestati e accusati di omicidio plurimo pluriaggravato. Saranno condannati in primo grado e in appello.
I rom a Nocera Inferiore
Il 7 giugno di quest’anno un neonato viene rapito all’ospedale “Umberto Primo” di Nocera Inferiore: una donna si traveste da infermiera e porta via con una scusa Luca Cioffi, nato appena poche ore prima. Per buona parte del pomeriggio diversi giornali raccontano che la pista sulla quale stanno investigando i poliziotti porta a una o due donne di etnia rom. “Caccia a due donne rom su Fiat Verde”, scrive l’AGI. “Si cerca una Fiat Punto di colore verde con due donne rom a bordo”, scrive il Tempo. Diversi altri siti di notizie rilanciano la notizia, e i principali giornali italiani titolano sulla “caccia a due donne rom”. A mezzanotte i poliziotti fanno irruzione in un appartamento poco distante dall’ospedale, ritrovano Luca Cioffi e arrestano la donna responsabile del suo rapimento. Si chiama Annarita Buonocore, è una donna bianca di nazionalità italiana e fa effettivamente l’infermiera, ma in un altro ospedale di Nocera. Il tema dei rom e dei rapimenti dei bambini è sua volta pieno di casi del genere, che il Post aveva riassunto qui.
Patrick Lumumba a Perugia
Meredith Kercher viene uccisa la notte tra l’1 e il 2 novembre del 2007, nell’appartamento che divideva con altre tre ragazze. I primi sospetti si dirigono sull’americana Amanda Knox, poi condannata in primo grado, e su Patrick Lumumba, un uomo congolese proprietario del locale dove lavorava la stessa Knox. È lei ad accusarlo e dire di averlo visto sul luogo del delitto. Gli inquirenti considerano attendibile la testimonianza a causa della traduzione errata di un SMS di Lumumba, che scrive a Knox “see you later”. Gli inquirenti lo traducono come “ci vediamo dopo”, sostenendo che quella frase prova che i due si sono già incontrati. In realtà si trattava di un generico “ci vediamo”. Lumumba rimane in carcere per quattordici giorni, al termine dei quali viene rilasciato e sollevato da ogni accusa. Lo Stato lo ha risarcito con otto mila euro, lui ha fatto ricorso.
Adel Ben Slimen a Sanremo
Adel Ben Slimen ha 34 anni, si è diplomato in Tunisia in economia aziendale ed è arrivato clandestinamente in Italia nel 2002. Tra il 2003 e il 2004 la polizia arresta un frequentatore della moschea di Sanremo, la stessa di Ben Slimen, sospettato di collaborare con organizzazioni estremiste e violente. Gli inquirenti decidono di indagare su altri frequentatori della moschea e mettono sotto controllo, tra gli altri, anche il telefono cellulare di Adel Ben Slimen. Una sua intercettazione però viene tradotta male. Lui chiede ai suoi familiari «se la sua carta d’identità è pronta», chiede se «gli possono inviare anche dolci locali» e poi, tornando sulla carta d’identità, dice la parola “Vergina” e fa un verso, tipo un brooom. Secondo gli inquirenti sta chiedendo di avere delle carte di identità vergini, da compilare. Il 20 novembre 2007, due anni dopo la telefonata incriminata, Adel viene arrestato e portato in carcere, in attesa del processo. Solo per quella parola, “Vergina”, e il rumore fatto al telefono: gli inquirenti non troveranno nient’altro. Resterà in carcere per due anni, otto mesi e due giorni. Insieme all’arresto gli viene notificata l’espulsione. Durante il processo l’accusa per terrorismo svanisce, mostrandosi del tutto inconsistente. La parola “Vergina” in arabo non esiste. Adel Ben Slimen faceva riferimento a una nota bevanda locale, una specie di gassosa, e faceva il verso brooom perché aveva visto la pubblicità sulle macchine della formula uno. Rimane il decreto ingiuntivo di espulsione per clandestinità. Dall’8 luglio di quest’anno Adel Ben Slimen è tornato a essere prigioniero, non della prigione ma del CIE di Torino. Se dovesse essere rimpatriato, potrebbe toccargli una sorte ancora peggiore: le persone accusate di reati connessi al terrorismo in Tunisia vengono sottoposte a torture e a lunghe carcerazioni.
Kelum Da Silva a Rignano Flaminio, Roma
È la storia dei presunti abusi sessuali delle maestre di un asilo sui propri alunni. La racconta direttamente Claudio Cerasa, che sul tema ha scritto un libro.
Questo Da Silva finì in una cella del carcere romano di Rebibbia in seguito ad un paio di testimonianze di alcuni genitori di Rignano Flaminio. Da Silva venne iscritto nel registro degli indagati per essere l’uomo che guidava la macchina che avrebbe trasportato i bambini della Olga Rovere fino alle case degli orchi. E le testimonianze chiave riportate ai Carabinieri di Bracciano si riferiscono a due incontri in particolare: nel primo un genitore, avvicinandosi alla pompa di benzina dell’Agip, avrebbe riconosciuto “l’uomo nero” quando il bambino, da dentro la macchina, si sarebbe rivolto al cingalese di colore dicendo: “Cattivo, cattivo, uomo nero”. La seconda testimonianza riguardava le affermazioni di un genitore che aveva notato che “la sua bambina salutava Maurizio con sorrisetti e occhiate da fidanzatina”. Più avanti, dopo che il benzinaio uscì di galera, si scoprì che, nonostante fosse piuttosto nero, Da Silva non si chiamava Maurizio, non aveva il codino, non aveva la patente e soprattutto non c’entrava niente con quell’indagine.
Alexandru Isztoika Loyos e Karol Racz a Roma
I loro nomi oggi forse non vi dicono nulla, ma l’espressione “stupro della Caffarella” dovrebbe invece dirvi qualcosa di più. Il 14 febbraio del 2009 una ragazzina viene stuprata nel parco della Caffarella, a Roma. Pochi giorni dopo vengono arrestati Alexandru Isztoika Loyos e Karol Racz, due cittadini romeni. Uno viene soprannominato dalla stampa “faccia da pugile”. Un mese dopo, il test del DNA dimostrerà l’innocenza dei due. Qualche tempo dopo saranno arrestati i due responsabili, poi condannati: i romeni Oltean Gavrila e Jean Jonut Alexandru.
Osas Friday a Francavilla Fontana, Brindisi
Lo scorso agosto il consigliere comunale del PdL Benedetto Proto presenta una denuncia alla polizia, accusando un uomo di cittadinanza nigeriana, Osas Friday, di averlo aggredito e minacciato con un coltello. Friday viene arrestato e rimane in carcere per nove giorni. Lo scagiona la testimonianza di una donna, una panettiera, che racconta la reale versione dei fatti: Friday era solito chiedere l’elemosina davanti al panificio e aveva un buon rapporto con i proprietari dell’attività commerciale. Il consigliere del PdL gli si avvicina e gli intima di allontanarsi. Friday lo fa, ma prima entra in panetteria per cambiare gli spiccioli, come tutti i giorni. Quando esce dal negozio si trova di fronte il consigliere e due vigili urbani, e scappa. La pattuglia lo arresta sulla base di quanto denunciato da Proto, che dice di essere stato aggredito con un coltello. Serafina Latartara, la panettiera, dirà in aula: “Ho seguito tutta la scena, il ragazzo non aveva nessun coltello, ha svuotato le tasche nel mio negozio dove gli ho cambiato gli spiccioli e regalato una focaccia, come faccio ogni giorno”. Friday è stato assolto con formula piena e ha ricevuto in aula le scuse del pubblico ministero. Subito dopo il processo il consigliere comunale del PdL si è dimesso.
Medhi ad Anzola, Bologna
Siamo nel settembre del 2006. Una ragazzina di dodici anni confessa ai genitori di essere stata violentata da un marocchino. La giovane dice di essere stata avvicinata da un gruppetto di quattro o cinque sconosciuti in un parco pubblico e di essere stata costretta a un rapporto sessuale. I militari arrestano un marocchino di 20 anni, con l’accusa di violenza sessuale aggravata: risalgono a lui sulla base della descrizione del suo abbigliamento fatta dalla vittima, cioè una maglietta nera Dolce e Gabbana. Gli accertamenti clinici escludono che la ragazza sia stata violentata. Non si trovano altre prove a carico di Mehdi, che viene rilasciato il giorno dopo quando la ragazzina ammette di essersi inventata tutto. Fuori dal carcere, Mehdi se la prenderà molto con quelli che stavano fuori, compresi i suoi connazionali.
Abdelmijd Mahraoui a Roma
Abdelmijd Mahraoui ha quarant’anni ed è in Italia dal 1995, con un lavoro regolare e un permesso di soggiorno. Il 24 febbraio del 2009 viene arrestato con l’accusa di violenza sessuale, accusato da una donna. Passa dieci mesi in carcere, poi viene scarcerato. A marzo del 2010 viene assolto con formula piena. Nel frattempo però ha perso il lavoro e non ha potuto rinnovare il permesso di soggiorno. Finisce in una specie di limbo: le autorità ritirano il decreto di espulsione, ma trovandosi senza permesso di soggiorno non è più regolare e non può più trovare un lavoro regolare.
Adriana Vasilica Iacob ad Albano Laziale, Roma
Nel gennaio del 2008 Paola Iori, 81 anni, viene trovata morta nella sua abitazione. La sua badante, la rumena Adriana Vasilica Iacob, viene arrestata con l’accusa di omicidio volontario. I giornali scrivono che ha “picchiato a morte” Paola Iori, che effettivamente riporta alcune fratture. Adriana Vasilica Iacob si dice innocente. Non ci sono prove a sostegno della tesi per cui l’autrice dell’aggressione sarebbe Iacob, ma i vicini di casa dichiarano che le due donne avevano spesso dei diverbi. La rumena viene condannata in primo grado. Durante il processo di appello la difesa chiede che venga effettuata un’autopsia sul corpo di Paola Ieri. Emerge quindi che la donna è morta a causa di un infarto e che si era procurata le fratture cadendo in casa. Dopo due anni e otto mesi di carcere, Adriana Vasilica Iacob è stata scagionata da ogni accusa e scarcerata.
(CARLO HERMANN/AFP/Getty Images)