Cosa sta succedendo in Costa d’Avorio
Il candidato che ha perso le elezioni ha giurato come presidente, tra polemiche e violenze
di Michele Camerota
Quello che è già accaduto e che accadrà ancora in Costa d’Avorio è di una gravità inaudita. I risultati elettorali, considerati legittimi della CEI (Commissione Elettorale Indipendente) sono stati sconfessati dai risultati decretati dal Consiglio costituzionale, rendendo concreta la possibilità di un ritorno alla guerra civile. La gente ha paura. Aveva sperato che queste elezioni significassero la fine della crisi, ci aveva creduto e il sogno di milioni di ivoriani stava quasi per realizzarsi. Nel paese regna ora una situazione di grande confusione e le strade sono prese d’assalto dai militanti dei due schieramenti.
Entrambi i candidati finalisti del ballottaggio delle presidenziali del 28 novembre si dichiarano vincitori: Alassane Dramane Ouattara, ribattezzato ADO, già direttore aggiunto del Fondo Monetario Internazionale, sostenuto dall’intera coalizione del RHDP (Rassemblement des Houphouëtistes pour la Démocratie et la Paix), vincitore con il 54,1 per cento dei suffragi espressi in suo favore secondo i risultati proclamati dalla CEI, è stato destituito dalla massima assise giudiziale che ha annullato i risultati di sette dipartimenti del nord, riportando l’elezione a Laurent Gbagbo del LMP (La Majorité Presidentielle) con il 51,45 per cento dei voti: un vero e proprio colpo di stato istituzionale.
Il voto del nord, dal 2002 sotto il controllo degli ex ribelli delle Forces Nouvelles, è risultato in un plebiscito pro-ADO. Lo stesso Guillame Soro, astro emergente della politica ivoriana, segretario generale delle Forces Nouvelles, primo ministro in seguito accordi di Ouagadougou del marzo 2007 che hanno portato alla pax ivoriana, dichiaratosi neutrale in attesa delle legislative, ha rigettato i risultati forniti dal Consiglio costituzionale ed è stato violentemente accusato dal campo di Gbagbo, mettendo fine a una coabitazione che sembrava una vera e propria luna di miele. A Bouaké, seconda città del paese e porta di accesso verso il Burkina Faso e il Mali, migliaia di immigrati “sans papier” e di ivoriani naturalizzati sono scesi in piazza per festeggiare il loro eroe, ADO, che incarna tutti i loro desideri di rivalsa sociale. Gelati dall’annuncio del Consiglio costituzionale, bisognerà ora vedere in che modo esterneranno il proprio dissenso insieme alle Forces Nouvelles, custodi di una pax rimasta pericolosamente armata, poiché i programmi di disarmo non sono stati portati a termine prima di queste elezioni.
La sequenza dei fatti
L’immagine più emblematica per descrivere l’andamento di questi giorni è quella offerta il 30 novembre dalla RTI, la televisione nazionale ivoriana, in cui si vede il portavoce della CEI, Yacouba Bamba, che mentre si appresta a leggere pubblicamente i risultati delle elezioni, viene raggiunto da un altro commissario della stessa istituzione che gli sfila i fogli da sotto gli occhi, li accartoccia e li butta via: un brutale schiaffo alla democrazia, alla volontà popolare e, probabilmente, una dichiarazione di guerra.
Alla mezzanotte di mercoledì scade il termine legale secondo cui la CEI avrebbe dovuto proclamare i risultati parziali che, tra l’altro, entrambi gli schieramenti possedevano già da domenica sera, in virtù della presenza capillare e ben organizzata di loro rappresentanti nei seggi elettorali di tutto il paese. Nel pomeriggio di giovedì, quindi, il presidente della CEI, Youssouf Bakayoko, fa atto di coraggio e si presenta ai giornalisti per proclamare il risultato suddetto: Ouattara eletto presidente con il 54,1% dei consensi.
Il presidente del Consiglio costituzionale Paul Yao N’dré, notoriamente vicino al presidente uscente Gbagbo, dichiara fuori tempo massimo – e quindi illegittima – accoglie le illazioni di frode al nord del paese manifestate dal LMP e conferma Gbagbo alla presidenza con il 51,45%. Lo shock della comunità internazionale e degli ivoriani, compresi molti gbagboisti della prima ora, è forte. Il cielo su Abidjan si fa grigio e non promette nulla di buono. Gli apolitici si affrettano a riguadagnare le proprie case, i militanti scendono in strada. Il futuro è una palla di cannone accesa, come cantava qualcuno.
Le reazioni esterne
Immediate e nette le reazioni della comunità internazionale: ferma condanna dell’operato del Consiglio costituzionale e conferma di quanto invece dichiarato dalla CEI. Issata di scudi pro-Ouattara e in favore del rispetto della volontà popolare categoricamente espressa dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, dalla capo della diplomazia europea Caterine Ashton (forte anche delle conclusioni della missione di osservazione elettorale dell’UE dispiegata nel paese a partire da metà ottobre), da Barack Obama, Nicolas Sarkozy e numerosi altri capi di Stato. Tutti si felicitano con ADO e invitano Gbagbo a fare marcia indietro, compresi i socialisti francesi, spesso vicini al presidente uscente.
L’ONUCI, la missione delle Nazioni Unite presente in Costa d’Avorio con il mandato di assistere il paese nell’uscita dalla crisi politica innescata dal tentato golpe del 2002, ha avuto un ruolo fondamentale nell’organizzazione di queste elezioni, rimandate per ben sei volte dal 2005 finendo per risultare le più dispendiose elezioni al mondo. È in possesso di tutti gli oltre 20 mila processi verbali, minuziosamente conteggiati così da pervenire agli stessi risultati forniti dalla CEI. Gbagbo si barrica dietro populistici messaggi razziali nei confronti della comunità internazionale occidentale, ed esplicita la minaccia di espulsione nei confronti del rappresentante ONU in Costa d’Avorio, il giapponese Youn-jii Choui, coraggioso e determinato nel rispetto degli obblighi del proprio mandato. Intanto, si aspetta con impazienza una presa di posizione da parte dell’Unione Africana che induca le parti a riportare la calma nel paese e l’accettazione della volontà popolare.
Le reazioni interne
Assai preoccupanti le ripercussioni che potranno far seguito alla fermezza con la quale Gbagbo sembra non voler in alcun modo rinunciare allo scanno presidenziale, tanto da aver già prestato giuramento: da giovedì le forze armate, con il Capo di Stato Maggiore Philippe Mangou che si è complimentato con Gbagbo, hanno dichiarato la chiusura di tutte le frontiere terrestri, aeree e marittime della Costa d’Avorio in aggiunta alla sospensione di tutte le emissioni radio-televisive straniere, in particolare Radio France Internationale e France 24; il coprifuoco, decretato a sorpresa da Gbagbo alla vigilia del secondo turno e in vigore già da sabato scorso, è stato prolungato fino a domenica sera a partire dalle 19 fino alle 6 di mattina fino a nuove disposizioni.
Migliaia di manifestanti sono intanto scesi nelle strade di Abidjan per esternare la propria gioia o la propria delusione: fuochi di pneumatici per far festa e fuochi di pneumatici per protesta, difficile comprendere. Le vittime accertate degli scontri a fuoco tra manifestanti e forze dell’ordine sono per il momento circa una ventina, ma resta assai difficile fornire dati certi e, soprattutto, azzardare previsioni per il futuro prossimo.
C’era una volta la Costa d’Avorio
Il primo turno di queste elezioni presidenziali si era svolto il 31 ottobre scorso in un clima disteso ed emozionante, senza far registrare incidenti e tensioni degni di nota, con quattordici candidati in lizza e una partecipazione dell’83% degli aventi diritto. Gbagbo aveva conquistato il 38,2% dei consensi contro il 32% di Ouattara. La musica ha cominciato a cambiare nella campagna elettorale del secondo turno, quando i toni e i messaggi – soprattutto da parte di Gbagbo – sono divenuti aggressivi e minacciosi. Il terzo classificato, Henri Konan Bedié, già presidente dal 1993 al 1999, forte di un importante 25% di suffragi ottenuti, ha dichiarato sostegno incondizionato ad Alassane Ouattara in nome del RHDP e dell’unità nazionale.
Poi, uno storico faccia a faccia di due ore e mezzo tra i due finalisti ha avuto luogo il giovedì precedente lo scrutinio: toni cordiali e concilianti avevano riacceso le speranze per un’elezione pacifica e trasparente: tutto vano. La Costa d’Avorio, per anni – dal 1960 al 1993 governata dal padre della patria Felix Houphouet Boigny – eretta a paese modello in Africa per la stabilità politica e la prosperità economica, ripiomba negli abissi e torna a bruciare… questa volta sotto gli occhi vigili della Corte Penale Internazionale.
L’autore di questo articolo si trovava in Costa d’Avorio fino a pochi giorni fa e per ragioni di sicurezza non può rivelare la sua identità. Le foto seguenti sono state scattate dall’autore. La foto in miniatura invece è di Issouf Sanogo per AFP/Getty Images.
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