La pubblicità negativa su internet aiuta il business
Alcuni siti web maltrattano i clienti per avere più visibilità sui motori di ricerca con la pubblicità negativa, e Google corre ai ripari
di Emanuele Menietti
Clarabelle Rodriguez voleva un nuovo paio di occhiali da sole, così lo scorso luglio decise di acquistarne uno di marca su internet risparmiando se possibile qualche soldo, senza immaginare che la sua storia avrebbe indotto il più grande motore di ricerca del mondo a cambiare in parte il proprio funzionamento. Clarabelle inserì nel campo di ricerca di Google la sua marca preferita di occhiali da sole e, nella pagina dei risultati, trovò nella prima posizione dopo i link sponsorizzati un sito web per l’ecommerce chiamato DecorMyEyes.com. Lo store sembrava affidabile e i prezzi erano vantaggiosi, tanto da convincere Rodriguez a comprare anche delle lenti a contatto oltre agli occhiali per una cifra complessiva pari a 361,97 dollari. Ma il giorno dopo iniziarono i guai.
Un certo Tony Russo della società la contattò al telefono per avvisarla che la marca di lenti a contatto che aveva richiesto non era più disponibile e che avrebbe dovuto scegliere un altro marchio. «Gli dissi che non volevo un’altra marca – spiegò poi Clarabelle al New York Times – e chiesi un rimborso. Tony divenne scortese, decisamente odioso. “Che problema sarà mai? Scelga un’altra marca!”» Quando alcuni giorni dopo arrivò l’ordine, Clarabelle scoprì che gli occhiali inviati dal sito di ecommerce erano contraffatti e che le erano stati addebitati sulla carta di credito 487 dollari, dunque una spesa aggiuntiva di 125 dollari.
La donna si mise nuovamente in contatto con Tony, comunicando la sua volontà di rifiutare la merce e di voler ricevere indietro i soldi, ma ricevette una risposta poco incoraggiante dal responsabile del sito web: «Cosa diavolo dovrei farmene di questi occhiali? Li ho ordinati dalla Francia apposta per lei!». E il tono della chiamata si fece ancora più duro quando Clarabelle spiegò a Tony di voler interpellare la sua banca se non avesse ricevuto il rimborso: «Ascoltami, stronza. So dove abiti, lavoro a poca distanza da te». Il responsabile del sito di ecommerce minacciò poi la sua cliente, facendo esplicitamente riferimento alla possibilità di violentarla.
Sconvolta, ma determinata ad avere indietro il proprio denaro, Clarabelle si rivolse alla propria banca per contestare l’addebito ricevuto sulla carta di credito, una procedura che solitamente richiede un paio di mesi per essere evasa. Avvisato del contenzioso dall’istituto di credito, Russo iniziò a fare forti pressioni nei confronti della sua cliente per convincerla a rinunciare al rimborso, minacciando anche una serie di azioni legali contro di lei.
Per tutelarsi, Clarabelle decise di non rispondere alle email inviate dal gestore del sito. Determinato a intimidire la propria cliente, Russo decise allora di inviare una email alla donna aggiungendo come allegato una foto scattata davanti alla sua abitazione. Poi iniziarono le chiamate alle ore più disparate della giornata, cosa che indusse Clarabelle a denunciare il fatto alla polizia. Un paio di giorni dopo, Russo si fece nuovamente vivo con una email molto minacciosa: «Rinuncia al reclamo con la società della tua carta di credito, sai che cosa è meglio per te. Fai la cosa giusta e tutto questo finirà. TI TENGO D’OCCHIO!»
Lo stesso giorno Clarabelle ricevette anche una email da parte della sua banca dove le veniva confermato che il reclamo era stato archiviato, come da sua richiesta, poiché aveva accettato di prendersi la responsabilità del pagamento. La donna non aveva fatto nulla del genere, dunque chiamò la sua banca per spiegare che evidentemente qualcun altro aveva telefonato per chiedere la chiusura del caso. In effetti qualcuno aveva chiamato, ma la società della carta di credito non aveva la registrazione della chiamata, così la vicenda di Clarabelle fu liquidata rapidamente: «Non è più un nostro problema. Questo non ha nulla a che fare con noi».
Alla ricerca di qualche appiglio legale, Clarabelle Rodriguez negli ultimi mesi ha condotto alcune ricerche online per trovare qualche informazione in più su DecorMyEyes, scoprendo di essere uno dei tanti clienti rimasti insoddisfatti dal sito di ecommerce. Sui forum, su alcuni blog e sui siti con i consigli per la tutela dei consumatori ci sono da tempo decine di segnalazioni di utenti maltrattati dal responsabile della società, che a volte si fa chiamare Tony Russo, altre volte Stanley Bolds o Vitaly Borker. Tutti lamentano di aver ricevuto un servizio scadente, ma comunque al limite della legalità e dunque difficile da far sanzionare.
Ma perché un sito di ecommerce dovrebbe maltrattare così i propri clienti? La risposta l’ha data lo stesso Russo/Bolds intervenendo in uno dei forum che si sono occupati del suo sito web: «Ciao, sono Stanley di DecorMyEyes.com. Volevo solo dirvi che più lamentele pubblicate online, più il mio giro di affari aumenta e così il numero delle vendite. Il mio obiettivo è la pubblicità NEGATIVA». Per segnalare i disservizi e far capire di che cosa si sta parlando, gli utenti inseriscono nei loro post uno o più link verso il sito di ecommerce e questo può aiutare il suo posizionamento sui motori di ricerca come Google.
Se il link verso il tuo sito web si trova in alto nella pagina di Google, tra i primi risultati, hai più probabilità che qualcuno ci clicchi sopra, portando così maggiore traffico e visibilità. Il motore di ricerca utilizza numerosi parametri per decidere l’ordine dei siti web e buona parte di questi sono segreti per evitare imitazioni da parte della concorrenza e, naturalmente, per evitare che i possessori dei siti web conoscano tutti i trucchi per scalare le pagine dei risultati a prescindere dai contenuti che pubblicano. Uno dei parametri noti è legato al numero di link che rinviano al tuo sito web: più ne hai da siti raccomandabili più e probabile che il tuo sito web abbia maggiore evidenza. «Non ho mai avuto così tanto traffico. Sono in paradiso» concludeva Russo / Bolds sul forum, confermando di essere riuscito a far svettare il proprio sito grazie ai tanti link verso il suo portale pubblicati dai clienti insoddisfatti.
In seguito alla storia pubblicata dal New York Times il 26 novembre, Google ha deciso di correre ai ripari e di rivedere in parte gli algoritmi che determinano il posizionamento nelle pagine dei risultati, e lo ha annunciato ieri:
Siamo inorriditi nel leggere la terribile esperienza della signorina Rodriguez. Anche se le nostre prime indagini hanno dimostrato che si tratta di un caso limite e non di un problema così diffuso nei nostri risultati di ricerca, abbiamo deciso immediatamente di affidare a un nostro team il problema. Il gruppo di lavoro ha elaborato una soluzione per il nostro algoritmo, l’ha poi sviluppata ed ora viene già utilizzata. Sono qui per dirvi che fare i cattivi non favorisce gli affari legati ai risultati di Google.
La scelta di modificare l’algoritmo, spiegano i responsabili della società, dovrebbe rivelarsi maggiormente incisiva e utile per tutti gli utenti rispetto ad altre scorciatoie che Google avrebbe potuto intraprendere come il blocco del sito web incriminato. Una azione simile avrebbe risolto il problema specifico, ma non avrebbe escluso la possibilità che qualcosa di analogo si verificasse con altri siti web.
Quelli di Google ci tengono comunque a mettere in chiaro un aspetto della vicenda: DecorMyEyes è riuscito a scalare la pagina dei risultati non tanto grazie ai link degli utenti scontenti, ma semmai grazie all’alto numero di siti di informazione che hanno raccontato le vicende dei clienti maltrattati inserendo nei loro articoli i link verso il sito di ecommerce. Sarebbe stato sufficiente inserire nel codice delle pagine web che indirizzano verso DecorMyEyes l’attributo “rel=nofollow”, che serve ai siti web per dire ai motori di ricerca di non dare peso a un link contenuto nella loro pagina.
Come riconoscono gli stessi responsabili di Google, la vicenda di DecorMyEyes dimostra ancora alcuni limiti dei motori di ricerca, che non sono sempre in grado di distinguere se la fama di un sito sia dovuta alla pubblicità positiva o negativa ricevuta online. Google sperimenta da tempo l’analisi delle opinioni espresse nei siti di news e sui blog per affinare i propri risultati di ricerca, ma il sistema al momento è poco efficace e richiederà ancora del tempo per essere perfezionato.