Università: tutto o niente?

Irene Tinagli trova del buono e del cattivo nella riforma e accusa il PD di non averci lavorato abbastanza

Irene Tinagli della montezemoliana fondazione Italia Futura accusa oggi sulla Stampa le proteste di piazza e il lavoro parlamentare del PD di aver complicato le possibilità di miglioramento della riforma universitaria.

Dopo il movimentato travaglio delle ultime settimane è stata finalmente approvata alla Camera la Riforma dell’Università. Un risultato salutato da forti proteste, da ricercatori sui tetti, studenti sui binari e nelle piazze, con relativo spiegamento di forze e tensione alle stelle. La domanda che molti cittadini si fanno di fronte a questo drammatico acutizzarsi delle proteste è se davvero, come suggeriscono i leader dell’opposizione, questa riforma distruggerà l’Università italiana, rendendola meno competitiva, meno efficace, meno accessibile, finendo addirittura per dimezzare nei prossimi anni le già basse iscrizioni universitarie, come hanno profetizzato alcuni. No, la riforma non ucciderà l’Università italiana. Non distruggerà l’Università il fatto di aver reso a tempo determinato i contratti per ricercatori, così come avviene in tutti gli altri Paesi.

Non distruggerà l’Università aver inserito scadenze per la carica di rettore, così come non distruggerà l’Università aver inserito degli scatti salariali legati alla performance o aver aumentato l’assegnazione dei fondi alle università sulla base di valutazione. Si tratta al contrario di elementi di novità interessanti, che in passato sono stati proposti anche da esponenti dell’opposizione e che potrebbero avere effetti positivi se saranno correttamente implementati e accompagnati da decreti attuativi capaci di fare maggiore chiarezza sulle procedure e i criteri di valutazione, sulle modalità premiali e altri aspetti che il decreto ha lasciato troppo indeterminati. Certo, ci sono anche molti aspetti che lasciano perplessi, emendamenti aggiunti in corso d’opera che attenuano molto la portata innovativa dell’impostazione iniziale. E’ evidente che si tratta di una riforma frutto di numerosi compromessi, così come in fondo è normale che avvenga in democrazia. Tuttavia è difficile ravvedere nello spirito complessivo della riforma e nei suoi punti chiave qualcosa che possa veramente causare una distruzione dei diritti dei giovani, degli accademici, dei ricercatori. Semmai, l’unica cosa di cui si può accusare la riforma è di essere stata fin troppo mite nell’introduzione di criteri di valutazione e selezione più stringenti e di essersi mantenuta piuttosto garantista verso alcune fasce di accademici (inclusi i 30 mila professori assunti con le ope legis degli Anni Ottanta, mai sottoposti ad alcuna valutazione, e non toccati dalla riforma).

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