La scienza del global warming
Le responsabilità dell'uomo nel cambiamento del clima potrebbero diventare più facilmente misurabili
Quando si parla di riscaldamento globale è sempre difficile distinguere tra allarmismi e informazioni supportate da evidenze scientifiche. Uno dei motivi che rendono questa distinzione particolarmente ardua è che gli scienziati finora non hanno avuto a disposizione strumenti per stabilire con certezza l’origine di alcuni dei più eclatanti cambiamenti climatici che si sono verificati.
Anche quest’estate, quando un enorme blocco di ghiaccio si è staccato dal ghiacciaio Petermann, nella costa nord-ovest della Groenlandia, gli scienziati si sono subito affrettati a dire che non era possibile stabilire con certezza se il blocco si fosse staccato a causa del riscaldamento globale, visto che le registrazioni nelle acque della zona erano iniziate solo nel 2003. Tutto quello che possiamo dire, ci siamo spesso sentiti ripetere negli ultimi anni, è che eventi climatici estremi accadono con maggiore frequenza via via che l’uomo emette quantità maggiori di gas serra nell’atmosfera. Ma è impossibile risalire con esattezza ai singoli fattori che hanno scatenato l’evento osservato.
Ora invece una nuova tecnica chiamata “fractional risk attribution” (attribuzione di rischio frazionata) potrebbe rendere le cose un po’ più semplici. Si tratta di un metodo che usa modelli matematici per mostrare come funzionerebbe l’atmosfera se non avessimo raggiunto gli attuali livelli di emissione di CO2. L’obiettivo è stabilire la probabilità di un evento climatico estremo in assenza dell’interferenza umana e confrontarla con la probabilità che lo stesso evento ha nelle attuali condizioni atmosferiche.
Il metodo ha dimostrato per la prima volta la sua efficacia nel 2003, l’anno in cui sulla Terra si sono registrate le temperature più alte dall’introduzione nel 1851 dei primi strumenti di rilevazione meteorologica. Un gruppo di scienziati guidati da Peter Scott del British Met Office era infatti riuscito a dimostrare che il contributo dell’uomo a quell’ondata di caldo era stato pari al 75 percento. Secondo gli scienziati, insomma, le azioni dell’uomo sulla Terra avevano più che raddoppiato la probabilità che un evento del genere si potesse verificare.
Ora gli scienziati stanno applicando quel metodo all’analisi di fenomeni meteorologici estremi, soprattutto inondazioni e siccità. E dalle loro ricerche emerge che l’aumento delle temperature dipende molto di più dai gas serra che da fattori naturali come l’attività solare. Se il Sole fosse davvero il responsabile dell’innalzamento delle temperature, spiegano gli scienziati, la parte superiore dell’atmosfera dovrebbe essere più calda. Al contrario invece nel corso del tempo la parte superiore dell’atmosfera si è progressivamente raffreddata mentre la parte inferiore si è surriscaldata.
Anche il riscaldamento degli oceani sarebbe direttamente collegato alle emissioni di gas serra. Alcuni fenomeni meteorologici naturali come El Niño vanno a scaldare alcuni mari e ne raffreddano altri in determinati periodi dell’anno, ma resta il fatto che tutti gli oceani hanno visto le loro temperature aumentare dal 1950. «Le cause naturali non bastano da sole a spiegare fenomeni come questi», dice Santer «ci deve essere per forza un grosso contributo da parte dell’uomo».