Le foto di Napoli
Le immagini dei bambini che camminano tra i sacchetti di rifiuti valgono più di mille ispettori UE
Ben tre storie diverse hanno riportato stamattina sulle prime pagine dei giornali la catastrofe dei rifiuti a Napoli, che non è mai diminuita in queste settimane malgrado il fisiologico calo di attenzione da parte dei media. Uno è il sopralluogo degli ispettori dell’Unione Europea arrivati in città per analizzare la situazione e gli interventi compiuti. Scrive Repubblica:
Restano bloccati nelle casse di Bruxelles i cinquecento milioni di euro destinati all’Italia per il ciclo dei rifiuti. Gli ispettori dell’Unione europea in missione a Napoli, aggirandosi in mezzo a diecimila tonnellate di rifiuti tra città e provincia, prendono atto che la situazione è «uguale a due anni fa» e sottolineano che «nulla è cambiato nella non gestione in Campania». Così Pia Bucella, responsabile della direzione Ambiente e capo degli ispettori Ue, fotografa la crisi: «Per sbloccare i fondi c´è bisogno di una nuova gestione concretamente impiantata. Non basterà avere un disegno sulla carta, ma vogliamo la certezza che il progetto sia attuato sul territorio. Oggi abbiamo solo rifiuti nelle strade e manca ancora un piano di trattamento e gestione della differenziata».
Totalmente negativa la prima verifica dopo la condanna all’Italia decisa dalla Corte di giustizia europea il 4 marzo scorso. Una procedura di infrazione aperta dall’esecutivo Ue nel 2007 con il deferimento alla Corte di Lussemburgo che a marzo ha firmato la sentenza perché «l’Italia non ha adottato tutte le misure necessarie allo smaltimento dei rifiuti in Campania mettendo in pericolo la salute, recando pregiudizio all´ambiente e venendo meno agli obblighi della direttiva comunitaria sui rifiuti».
A marzo l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso rispose che «tutto quello per cui l’Italia è stata condannata è già risolto». Ancora oggi l’assessore regionale Giovanni Romano ribatte che «nonostante la crisi, la situazione è diversa rispetto a due anni fa». Ma il disastro è sotto i riflettori nonostante in serata, nel corso del sopralluogo al termovalorizzatore di Acerra, gli ispettori abbiano preso atto che da gennaio a oggi l’impianto ha bruciato 460 mila tonnellate.
Poi c’è la questione del decreto sui rifiuti annunciato ma su cui ieri la Presidenza della Repubblica ha annunciato un ritardo misterioso e grave, come spiega il Corriere della Sera:
Sono settimane di marasma e di caos, nella politica. Nelle quali può capitare perfino che il decreto annunciato dal governo (con grande rimbalzo sui media e con polemiche avvelenate dentro la maggioranza) per «superare la criticità rifiuti in Campania», risulti ancora — dopo 5 giorni — «un fantasma», come recrimina l’opposizione. Insomma, dato che Napoli è allo stremo, siamo all’emergenza nell’emergenza, con un provvedimento che sembra evaporato in un misterioso limbo, congelato perché in attesa di rettifiche supplementari. Di sicuro, e questo è l’aspetto sconcertante, quella legge non è mai arrivata sul tavolo di Napolitano, cui tocca esaminarla e — qualora risponda ai criteri di necessità e urgenza, e abbia la copertura finanziaria — promulgarla. «sarebbe stato definito», che ci consegna l’idea della precarietà del momento.
Ma l’elemento che probabilmente sta colpendo i lettori di tutta Italia ancora più del severo giudizio europeo e del pasticcio istituzionale, sono le fotografie circolate ieri relative alla scuola elementare Paisiello e ad altri luoghi di Napoli, scattate una decina di giorni fa. Le racconta Goffredo Buccini sul Corriere della Sera:
Lo sanno tutti, sì, s’impara prima dell’alfabeto a saltellare nello schifo, perché dalle otto di mattina vicolo Montecalvario non è più un percorso possibile, i bambini arrancano nel giro lungo attraverso la piazza accanto, squarciata dal cantiere della metropolitana, per riuscire infine a raggiungere l’ingresso della scuola. I duecento passi del vicolo sono un’unica discarica. Qualche mamma abbozza una prima protesta, «dovete chiuderla, ’sta scuola! Basta mo’!», molte altre voci si alzano. Aurora Suraci scuote la testa, nel suo ufficio di dirigente: «Chiudere non si può, questo è un servizio pubblico, bisogna rispettare le regole. Se tutti rispettassero le regole non staremmo così».