I campi di Chernobyl
Il governo dell'Ucraina vuole riavviare la coltivazione agricola dei terreni intorno a Chernobyl
di Elena Favilli
Il governo dell’Ucraina pensa che sia arrivato il momento di tornare a coltivare i campi intorno a Chernobyl. L’utilizzo agricolo dei territori era stato vietato ventiquattro anni fa, in seguito all’incidente della centrale nucleare. Ma ora le autorità sostengono che il tasso di radioattività dei terreni potrebbe essere tornato su livelli normali, e che alcuni potrebbero essere nuovamente utilizzabili. «Stiamo conducendo alcune ricerche per capire quali terreni possiamo usare almeno parzialmente per l’agricoltura», ha detto un rappresentante del governo al quotidiano russo Nezavisimaya Gazeta «non stiamo parlando della zona più vicina alla centrale, stiamo parlando di territori in cui molte persone vivono già».
Gli scienziati stanno cercando di capire quali colture potrebbero essere più adatte. La proposta più condivisa fino a questo momento sembra essere quella della colza, più resistente alle eventuali contaminazioni radioattive e utilizzabile per la produzione di combustibili biologici. Ma se alcuni scienziati sostengono che i programmi di riabilitazione condotti in questi anni nei territori hanno ormai di fatto riportato il livello di radiazioni a soglie considerate normali, altri credono invece che disturbare i terreni con interventi artificiali potrebbe innescare una nuova catastrofe. «È semplicemente un crimine», ha detto un ex rappresentante del governo ucraino al quotidiano russo «muovere quella terra sprigionerà nuove radiazioni che contamineranno l’aria e l’acqua».
Il disastro di Chernobyl è stato il più grave incidente nucleare della storia. Avvenne il 26 aprile del 1986 in Ucraina, al confine con la Bielorussia, al tempo entrambe repubbliche sovietiche. Una nube di materiali radioattivi fuoriuscì dal reattore nucleare e ricadde su vaste aree intorno alla centrale che furono pesantemente contaminate, rendendo necessaria l’evacuazione e il reinsediamento in altre zone di circa 336mila persone. L’intera città di Pripyat, abitata da cinquantamila persone, fu evacuata. Il reattore continuò a liberare materiale radioattivo per dieci giorni, diffondendo nell’insieme una nube due volte più tossica dei due funghi nucleari che distrussero Hiroshima e Nagasaki alla fine della seconda guerra mondiale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che più di novemila persone sono morte a causa dell’esposizione alle radiazioni. Ma il bilancio è contestato da molte associazioni antinucleariste e istituzioni scientifiche internazionali fra le quali la New York Academy of Sciences, che sostiene invece che l’incidente sarebbe responsabile di oltre 250mila casi di tumori.
Oggi nella zona che fu più colpita dalle radiazioni – che si estende lungo un raggio di trenta km dalla centrale nucleare – vivono solo poche centinaia di persone, prevalentemente anziani che hanno deciso di tornare nelle loro vecchie case consapevoli dei rischi per la loro salute.