Quando il PD cominciò a morire
Quasi subito, secondo Angelo Panebianco sul Corriere
La nutrita categoria saggistica sulla “morte del PD” sta conoscendo un nuovo boom dopo il risultato delle primarie di Milano. Angelo Panebianco sul Corriere vi si associa – non da oggi – e prova a ricostruire la storia di un partito i cui fallimenti cominciano a far circolare la tesi non che sia stata sbagliata l’esecuzione ma persino l’idea.
La vittoria di Giuliano Pisapia alle primarie milanesi del centrosinistra contro il candidato del Partito democratico Stefano Boeri rappresenta, come ha scritto sul Corriere di ieri Michele Salvati, una «secca sconfitta politica» per il gruppo dirigente di quel partito. Una sconfitta che si somma a tante altre batoste, come, a suo tempo, la vittoria di Nichi Vendola in Puglia contro il candidato ufficiale del Pd, la perdita di regioni tradizionalmente governate dalla sinistra, il successo, anche se per ora solo mediatico, della rivolta capeggiata dal sindaco di Firenze Matteo Renzi, e altro ancora.
Se la politica italiana è, come è, alla deriva, se la rottura del Pdl e il possibile declino di Silvio Berlusconi preannunciano una crisi di sistema destinata ad avere ripercussioni ovunque, è difficile pensare che possa cavarsela un partito di opposizione così mal messo come il Partito democratico. Talmente mal messo da non aver saputo nemmeno approfittare, in questi anni, della crisi economica per rimontare nei sondaggi (che è ciò che normalmente accade in democrazia: i consensi per l’opposizione crescono quando il governo deve fronteggiare una grave crisi).
Così come è fallita l’aggregazione a destra denominata Popolo della libertà sta fallendo l’aggregazione a sinistra denominata Partito democratico.
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