Che cos’è l’hajj?
È iniziato l'annuale pellegrinaggio verso la Mecca, quest'anno i fedeli musulmani sono più di tre milioni
Circa tre milioni di pellegrini si sono raccolti in preghiera sul monte Arafat, a una quindicina di chilometri dalla Mecca, nel secondo giorno dell’Hajj, il consueto pellegrinaggio annuale verso la città sacra dell’Islam. L’hajj (la cui radice trilittera “ḥ-j-j-” significava originariamente “dirigersi verso”) è il quinto pilastro dell’islam e deve essere compiuto almeno una volta nella vita da ogni musulmano a patto che le sue condizioni di salute e i suoi mezzi economici glielo consentano. Si svolge tra l’ottavo e il tredicesimo giorno dell’ultimo mese del calendario islamico e rappresenta un momento di purificazione per i fedeli, che durante il viaggio chiedono perdono per i loro peccati e vengono purificati attraverso la celebrazione di preghiere e riti.
La destinazione finale del pellegrinaggio è la Grande Moschea della Mecca, dove si trova la Ka’bah, un edificio cubico nero situato al centro del grande cortile della moschea e venerato da tutti i musulmani. Nel suo lato orientale infatti la Ka’bah custodisce la pietra che per la tradizione musulmana sarebbe stata portata sulla terra dall’arcangelo Gabriele. La giurisprudenza islamica permette a chi ne sia impedito fisicamente ma ne abbia la possibilità economica di delegare qualcun altro all’assolvimento dell’obbligo religioso, i cui vantaggi spirituali andranno a chi abbia provveduto al pagamento del viaggio e al mantenimento sul posto della persona incaricata. È anche possibile lasciare appositi fondi in eredità perché il rito sia compiuto in nome e a vantaggio di un defunto.
Ogni pellegrino deve vestirsi usando solo due pezze di stoffa non cucite di color bianco, una per cingersi i fianchi (chiamata izar) e l’altra per coprire il tronco e la spalla sinistra, lasciando libero il braccio destro (rida’). Chiunque abbia adempiuto all’obbligo del ḥajj acquista un merito particolare: ha diritto a indossare un copricapo che ricordi l’assolvimento dell’obbligo ed è insignito del titolo onorifico di Ḥājjī (pellegrino del hajj). Molti musulmani mettono da parte i soldi nel corso dell’anno per potersi permettere un viaggio che in alcuni casi può essere anche di migliaia di chilometri, a seconda del loro paese di provenienza. Alcune compagnie aeree mettono anche a disposizione dei pacchetti speciali per chi raggiungere la Mecca in quel periodo. Per l’Arabia Saudita, l’evento è di particolare importanza: non solo per il prestigio di essere il paese ospite del luogo simbolo dell’islam e degli eventi ad esso collegati, ma anche per delicate questioni di sicurezza.
In passato ci sono stati diversi casi un cui centinaia di persone sono morte perché rimaste schiacciate dalla folla, perché rimaste uccise in scontri scoppiati improvvisamente tra fedeli provenienti da paesi rivali o perché disidratate. Nel 1987 quattrocento persone morirono durante alcuni scontri tra forze di sicurezza saudite e manifestanti iraniani, nel 1990 1.426 persone morirono invece schiacciate in un tunnel che dava accesso a uno dei luoghi sacri che vengono visitati durante il pellegrinaggio.
L’hajj dura in tutto cinque giorni ed è scandito rigidamente da una serie di riti e preghiere.
Primo giorno. Una volta arrivati alla Mecca, i pellegrini entrano nella Grande Moschea e camminano sette volte intorno alla Ka’bah. Questo rituale prende il nome di Tawaf. Poi si spostano fino alla città di Mina, dove il governo saudita nel frattempo ha allestito migliaia di tende per ospitarli durante la notte, e lì restano a pregare fino all’alba della mattina successiva.
Secondo giorno. I fedeli viaggiano attraverso la valle di Arafat e si fermano all’aperto per pregare Allah e meditare sul monte in cui – secondo la tradizione islamica – Maometto pronunciò il suo ultimo sermone e ricevette la rivelazione per scrivere il passaggio conclusivo del Corano. Quando il sole sta per tramontare, riprendono il viaggio verso Muzdalifa e lì passano la notte. Durante il viaggio raccolgono pietre da usare nel rito del giorno successivo.
Terzo giorno. La mattina tornano verso Mina e lanciano sette pietre raccolte il giorno prima contro alcune colonne, dette Jamaraat. Secondo la tradizione musulmana, le colonne si trovano nel punto in cui il diavolo avrebbe tentato il profeta Abramo. Il lancio delle pietre corrisponde quindi alla lapidazione simbolica del diavolo. Quindi sacrificano un animale (di solito una pecora o una capra) per ricordare il passo dell’Antico Testamento in cui Abramo era disposto a sacrificare suo figlio a Dio. Poi si lavano le mani, si tagliano i capelli, o almeno una parte, e tornano alla grande mosche della Mecca per un ulteriore Tawaf. Quindi tornano di nuovo a Mina, dove passano la notte.
Quarto e quinto giorno. I fedeli continuano il rituale della lapidazione delle colonne a Mina. Chi non è riuscito a raggiungere la Mecca fino a quel momento può farlo in questi ultimi due giorni.
Durante il pellegrinaggio, i fedeli devono rispettare alcuni particolari divieti:
– Non possono fidanzarsi
– Non possono tagliarsi le unghie né radersi
– Non possono usare profumi né olii profumati
– Non possono uccidere o cacciare niente, salvo quanto previsto dai rituali
– Non possono litigare, né lottare
– Le donne non possono coprirsi il volto, anche se lo fanno nei loro paesi di origine
– Gli uomini non possono indossare abiti con cuciture