Le tette di Wired
Una lettrice delusa dalla nuova copertina scrive una lettera aperta, il direttore Chris Anderson risponde e si difende
La nuova copertina dell’edizione americana di Wired è occupata per intero dalla foto di un seno nudo. Il titolo è “100% Natural. Who needs implants?” e introduce il servizio principale del numero, dedicato all’ingegneria del tessuto e al futuro della medicina. Parliamo del mensile superfigo-da-geek-bibbia-della-modernità, che oggi ha le canoniche “tette in copertina”: è il salto dello squalo, come si dice di ciò che esaurisce un suo periodo di ammirata qualità?
Mercoledì, Cindy Royal, lettrice appassionata di Wired e insegnante di web design e multimedia journalism alla Texas State University di San Marco, ha pubblicato nel suo blog una lettera aperta indirizzata a Wired, in cui, addolorata, contesta la scelta editoriale della foto e racconta perché ha maturato la decisone di non rinnovare l’abbonamento alla rivista.
Quando ho trovato la rivista nella mia cassetta delle lettere, l’ho avvicinata con la stessa trepidante attesa che accompagna questa operazione ogni mese. Non ho neanche dato troppo peso alla foto di Jennifer Aniston nuda nella pubblicità di GQ. Voglio dire, è solo pubblicità. Dovete sbarcare il lunario in qualche modo, giusto? Poi, ho girato la rivista, per vedere quali argomenti affascinanti avreste affrontato questo mese. Tette. Proprio lì, in copertina. Un seno senza testa, senza il resto del corpo… soltanto tette. Certo, accompagnavano una storia sull’ingegneria del tessuto, quale altra immagine avrebbe potuto rappresentare meglio un argomento del genere se non un paio di tette? Non c’era un altro modo?
E non è la prima volta. L’abbiamo visto anche in passato. Le vostre copertine non sono per niente amichevoli con le donne, e questo mi rende triste. Avete avuto Pam di “The Office” nuda nel 2008 (pensavate di essere così intelligenti con quella copertura trasparente, voglio dire, in che altro modo puoi rappresentare la trasparenza?). Nel 2003, avevate una bella ragazza coperta da diamanti sintetici. Avete avuto personaggi femminili manga ritratti in pose molto sexy e LonleyGirl15 e Julia Allison con i loro sguardi ammiccanti. E Uma Thurman, quella è una signora, ed era in copertina… ma aspetta, quella era per un personaggio che stava interpretando in un film basato su un romanzo di Philip K. Dick.
Pensateci un attimo. L’ultima volta che una donna è finita su una vostra copertina perché aveva realizzato qualcosa di importante è stato nel lontano 1996, con Sherry Turkle. E l’unica altra volta è stata nel 1994, con la musicista Laurie Anderson. E questo perché da allora, immagino, nessun’altra donna ha fatto nient’altro di notevole nel campo della tecnologia che non avesse a che fare con il suo corpo? Davvero?
Quindi la lettera continua ricordando le altre volte in cui Wired avrebbe potuto dedicare la copertina a una donna e invece ha preferito scegliere qualche altra cosa. E chiede alla rivista di rispondere a una domanda molto semplice: «Come dovrebbero sentirsi esattamente le donne rispetto al loro ruolo nell’ambito della tecnologia se dovessero giudicare solo dalle vostre copertine?» Poi invita Wired ad assumersi le responsabilità che il suo prestigio richiede e conclude amaramente dicendo che non rinnoverà il suo abbonamento.
Il suo post è stato molto condiviso in rete e ha sollevato un dibattito molto acceso sull’evoluzione di Wired e del suo ruolo e su quanto la necessità di vendere copie possa giustificare scelte limite come questa. Per noi italiani il dibattito è interessante per molti motivi: perché abbiamo una lunga tradizione di riviste con pretese di newsmagazine ma che investono in copertine sexy, perché abbiamo una nuova tradizione di siti web di news che raccolgono il grosso degli accessi su contenuti dello stesso genere (il caso “boxino morboso”), perché l’edizione italiana di Wired ha di recente introdotto alcune celebrities in copertina, scendendo a patti con necessità di allargamento del pubblico. Alla fine l’eco prodotta dal post di Cindy Royal è stata così ampia che anche il direttore di Wired, Chris Anderson, ha deciso di rispondere direttamente alle accuse lasciando un commento sul blog.
Cindy, sono il direttore di Wired e ti ringrazio per il tuo post. Prendo atto dei tuoi argomenti. Questo è un problema con cui ci confrontiamo sempre e riflette una combinazione di diversi fattori, che vanno dal fatto che non ci sono abbastanza donne così influenti nell’industria tecnologica alla necessità di vendere una copertina (ogni mese facciamo un test per capire quali sono le persone che il pubblico conosce di più e di cui potenzialmente vorrebbe sentire parlare). Prima di tutto devo correggere un punto: il servizio di copertina non è sull’ingegneria del tessuto in generale, ma sull’ingegneria del tessuto applicata al seno. Tra tutte le copertine con una scollatura profonda che si vedono in giro, era difficile trovarne una più appropriata di questa. Secondo, questo è un problema che va oltre le donne: è difficile per noi mettere delle persone in copertina. È sempre lo stesso motivo: le copertine devono vendere e quello che vende per noi sono le grandi idee (non associate a persone), o persone conosciute che abbiano cose interessanti da dire.
Poi Chris Anderson continua difendendo più nei dettagli le scelte di Wired e la sua strategia di copertina.
Però posso dire che prendiamo rischi con le persone che ammiriamo veramente. Per esempio, sono un grande fun di Martha Stewart, sia come donna d’affari che come innovatrice nell’ambito media, per non parlare della sua influenza nel movimento DIY (Do it yourself). Per questo l’abbiamo messa in una copertina, anche se sapevamo che non avrebbe venduto bene (e infatti non lo fece), ma decidemmo di farla comunque, con un titolo concentrato sulla sua passione e con una serie di domande e risposte con lei. Però tu non la conti perché la consideri «scherzosa e tematica».
Quindi secondo te quando mettiamo una donna in copertina, possiamo farlo solo se si tratta di un profilo impegnato? Noi amiamo i nuovi imprenditori di successo ma sfortunatamente non vendono così bene se non sono già conosciuti e se non sono a capo di un’azienda di cui le persone vogliano sentire parlare. Per esempio, Carol Bartz è un fantastico amministratore delegato ma non credo che adesso una copertina su Yahoo funzionerebbe. So che questo suona molto come la storia dell’uovo e della gallina, ma il tempo in cui le persone avevano bisogno di una copertina per diventare famose è passato da un pezzo. Infine, sono contento che ti sia piaciuto il nostro servizio su Caterina Fake, ma pensi davvero che avrebbe funzionato come copertina? Hunch è ancora un piccola start-up e Caterina ha lasciato l’azienda dopo pochi mesi dall’uscita di quel numero di Wired. Se l’avessimo messa in copertina saremmo stati accusati di cercare di fare troppa pubblicità prematura all’azienda e poi saremmo stati in difficoltà il mese successivo quando lei stessa l’ha lasciata. In altre parole, suggerimenti per favore!
Qualcosa sta cambiando, o forse invece niente: il mestiere più antico del mondo, alla fine lo gestiscono sempre gli uomini. In tutto questo, pure il Post ha avuto da oggi le tette (altrui) in apertura.