Una nuova centrale elettrica del Vajont
I comuni che furono distrutti dal disastro del 1963 ora vorrebbero un nuovo impianto a valle della diga per produrre energia idroelettrica
Il 9 ottobre del 1963 alle 22.39 dal versante settentrionale del monte Toc si staccò un’enorme frana, che scivolò rapidamente nel bacino artificiale creato dalla diga del Vajont, tra le province di Belluno e Udine. Gli oltre 270 milioni di metri cubi di detriti fecero sollevare un’onda di piena che superò i 250 metri di altezza e che provocò la distruzione dei villaggi lungo il lago e la distruzione di Longarone, il comune che si trovava a valle della diga. Il disastro causò la morte di 1917 persone e le inchieste successive alla tragedia dimostrarono le gravi responsabilità di chi si occupò dell’approvazione dei progetti e della costruzione della diga, che portò alla creazione di un bacino artificiale in un’area geologicamente poco stabile e adatta a ospitare un invaso.
A distanza di 47 anni, il ricordo della tragedia è ancora vivo tra chi sopravvisse al disastro e nell’opinione pubblica, anche grazie al lavoro di divulgazione svolto sulla vicenda da Marco Paolini e a al film del 2001 di Renzo Martinelli che ha ricostruito le vicende che portarono alla costruzione della diga e alla frana del monte Toc. Di Vajont si parla molto in questi giorni in seguito alle voci su un nuovo accordo tra alcune società friulane e i comuni colpiti dal disastro per la realizzazione di un nuovo impianto per la produzione di energia idroelettrica.
La società En&En ha già raggiunto un accordo preliminare con i comuni di Castellavazzo, Longarone, Erto e Casso distrutti dall’ondata di piena del ’63, spiegano sul Gazzettino:
La Regione Friuli-Venezia Giulia ha già concesso alle due società private l’autorizzazione allo sfruttamento delle acque. Non ci sarebbe bisogno del consenso delle amministrazioni comunali, ma il gigantesco problema morale lo impone. E non solo morale, visto che le giunte dei tre Comuni hanno già deliberato di essere pronte a una partecipazione, attraverso Bim Gestione servizi pubblici, la società che gestisce il Servizio idrico integrato, ma non prima di avere sentito che cosa ne pensano gli abitanti nati prima di quel terribile 9 ottobre 1963.
La centrale potrebbe produrre 15 milioni di chilowattora l’anno e il 60% degli introiti dovrebbe essere riservato alla casse dei comuni che parteciperanno all’iniziativa. Il piano prevede la costruzione della centralina a valle della diga e non interferirebbe in alcun modo con il bacino del Vajont, spiega Franco Roccon, il sindaco di Castellavazzo. Il sindaco di Longarone, Roberto Padrin, ci va invece più cauto:
«Al momento siamo solo alla fase preliminare e prima di procedere con ulteriori atti stiamo cercando di trovare una soluzione che possa essere condivisa da tutti. Se da un lato l’impianto può portare notevoli benefici anche dal punto di vista economico alle popolazioni e ai Comuni, dall’altro dobbiamo tenere ben presente la questione morale. Non è nostra intenzione urtare la sensibilità di chi è sopravvissuto all’immane tragedia del 9 ottobre 1963. La valutazione è davvero molto complessa ed è necessario un confronto con tutti i soggetti interessati a questa vicenda.»
L’Associazione Superstiti e il Comitato Sopravvissuti del Vajont potranno dare il loro parere sul progetto il prossimo venerdì 19 novembre. Alcuni auspicano che, se proprio dovrà esserci la nuova centrale, questa sia gestita da una società completamente pubblica, lasciando stare i privati e le logiche di profitto a tutti i costi. Micaela Coletti del Comitato Sopravvissuti è invece contraria: «Tutto è iniziato con acqua e soldi e in acqua e soldi rischia di finire. Dire che siamo contrari è poco: il posto è sacro e ha un valore che travalica i confini della nostra terra, un valore nazionale».