La solitudine dei colonnelli
Fini e il gruppo di dirigenti a lui più vicini sono stati il motore evolutivo della destra italiana
di Francesco Costa
La storia della transizione della destra post fascista italiana, dall’essere gli appestati esclusi dall’arco costituzionale all’approdo al governo e alla terza carica dello stato, è anche la storia del successo e della missione di un piccolo gruppo di persone. Così come a sinistra la classe dirigente che raccolse l’eredità di Berlinguer riuscì poi a scalzare Occhetto e perpetuarsi attraverso varie fasi politiche fino ai giorni nostri, così l’intera transizione della destra italiana è stata guidata da un gruppo di dirigenti amici e alleati, diversi ma pronti a mettere da parte le differenze nell’interesse comune. Col tempo, la stampa li definì un generale e i suoi colonnelli. Se ne è raccontato e scritto molto, ma le evoluzioni della storia non sembrano ancora terminate.
Gianfranco Fini era il generale: pupillo di Almirante, che lo indicò come suo successore, arriva alla segreteria del Movimento Sociale Italiano nel 1987. Ne viene estromesso da Rauti nel 1990 ma si riprende il posto un anno dopo, per non mollarlo più e trasformare il partito in Alleanza Nazionale. Con lui, i cosiddetti colonnelli, un solido gruppo di dirigenti e capicorrente che sosterrà Fini e gli garantirà complicità e compattezza del partito. Sono Ignazio La Russa, Altero Matteoli, Mirko Tremaglia, Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Francesco Storace.
Negli anni qualcuno prende un’altra strada, per scelta politica o per anzianità. A un certo punto – siamo tra il 2004 e il 2005 – Fini inizia a fare alcune riflessioni riguardo la destra italiana e il suo futuro: riguardo la necessità di Alleanza Nazionale di emanciparsi dal berlusconismo e da un certo stile del suo passato. Questo lo porta a prendere posizioni che il suo elettorato ritiene poco ortodosse: propone di dare agli immigrati la possibilità di votare alle elezioni amministrative, annuncia che voterà sì ai referendum sulla procreazione assistita. Si rompe, lentamente ma inesorabilmente, il sodalizio con i colonnelli. Il 15 luglio 2005 Nicola Imberti, cronista politico del Tempo, ascolta per caso una conversazione in un bar nei pressi di Montecitorio. Al bancone ci sono La Russa, Gasparri e Matteoli. Dice La Russa: «È malato. Non vedete com’è dimagrito, gli tremano le mani. Non possiamo farlo trattare con Berlusconi sul partito unico. Non è capace». Replica Matteoli: «La vera questione è capire chi è Fini oggi. Dobbiamo andare da lui e dirgli: svegliati! Se serve prendiamolo a schiaffi ma scuotiamolo». Non si sa se Fini era davvero “malato” o i tre parlassero semplicemente della sua svolta. Quello che si sa è che i tre si scusarono e Fini si infuriò: azzerò le correnti del partito, fece rimuovere Gasparri dal ministero delle comunicazioni. Ancora qualche settimana fa La Russa ha ripetuto in un’intervista di ritenere che Fini fosse allora in un momento “difficile”.
Qualche tempo dopo la frattura si ricompose, un po’ per il passare del tempo e un po’ per realpolitik: la stessa che portò Fini nel 2008, poco dopo la dichiarazione sulle “comiche finali” di Berlusconi, a lavorare con lui alla fondazione del partito unico, il Popolo delle Libertà. Dopo la vittoria elettorale del 2008 si passa all’incasso. Il generale diventa presidente della Camera. Gasparri è presidente del gruppo del PdL al Senato. La Russa è ministro della Difesa. Matteoli è ministro dei Trasporti. Alemanno è addirittura sindaco di Roma. Mai la destra italiana aveva avuto altrettanto spazio al governo del Paese.
Il resto è storia presente: Fini ha continuato progressivamente – ma non improvvisamente, come si vede – il suo percorso, emancipandosi sia dal berlusconismo che da certi comportamenti e abitudini appartenenti al passato della destra italiana. L’ultimo anno ha sancito la definitiva rottura del suo più lungo sodalizio, al punto che oggi il generale e i colonnelli militano in due partiti diversi. E con sorti e destini diversi. Da una parte, la svolta di Fini gli ha permesso di guadagnare una crescente centralità nel dibattito politico italiano, e mai come in questi mesi davvero l’intera politica italiana ha girato attorno alla sua persona. Con la stessa rapidità e con inverso clamore, invece, l’importanza e la rilevanza dei colonnelli è implosa.
L’asse tra Berlusconi e la Lega li mette in una posizione complicata, per quanto facciano fatica ad ammetterlo. La Lega e il PdL li sopportano sempre meno, e soprattutto sopportano sempre meno l’aver attribuito loro alcune rilevantissime posizioni di governo a fronte di una rappresenza nel PdL pressoché inesistente, ora che i sondaggi danno stabilmente Futuro e Libertà intorno al 7 per cento e il Popolo delle Libertà sui livelli della vecchia Forza Italia. Da tempo si parla della necessità del PdL di affidarsi a un coordinatore unico, così da liberarsi di La Russa e dell’ingombrante Verdini e rimettere il partito nelle mani di Bondi o Scajola. I retroscena politici degli ultimi giorni sostengono addirittura che durante il loro vertice, Bossi abbia offerto a Fini di riservare il ministero della Difesa a un esponente di Futuro e Libertà, facendo così fuori lo stesso La Russa che intanto Berlusconi vorrebbe togliere dalla poltrona di coordinatore del partito. E i colonnelli hanno pochissima forza contrattuale, non potendo mai minacciare di andarsene dal PdL: perché ovviamente non possono andare con Fini e perché salvo che in alcune parti d’Italia la loro forza elettorale è irrilevante, specie se deve misurarsi con quella di Futuro e Libertà e con quella del PdL. Per non dire dei rischi che corrono in caso di elezioni, soprattutto di fronte alla concorrenza della Lega.
Dire che i colonnelli di AN hanno dovuto la loro popolarità e importanza soltanto al loro sodalizio con Fini sarebbe falso e ingeneroso. Si può dire con certezza, invece, che sono gli unici che dalla rottura di quel sodalizio ci hanno rimesso. Fini è ancora un generale: i suoi colonnelli oggi si chiamano Bocchino, Granata, Briguglio, Raisi, Perina. Loro, La Russa, Gasparri, Matteoli, si sono spesi per rompere i ponti e litigare furiosamente con i loro ex amici prima di averne trovati degli altri.