Storie della maratona di New York
La corsa è stata vinta da due esordienti, l'etiope Gebremariam e la kenyana Kiplagat
Oltre ai record, per sua natura lo sport offre spesso belle storie. La maratona di New York, l’evento più affascinante di una categoria sportiva già di per sé estrema, è uno degli appuntamenti che ne concentra di più, e il Wall Street Journal racconta quelle nate — e quelle finite — ieri durante i 42 chilometri di corsa che toccano tutti i cinque quartieri della città, partendo da Staten Island e finendo a Central Park.
L’etiope Gebre Gebremariam, 26 anni, ieri ha vinto da esordiente, come non succedeva dalla vittoria di Alberto Salazar nel 1980. Vittoria all’esordio anche per la kenyana Edna Kiplagat nella categoria donne. Seconda classificata — caso raro — un’americana, Shalane Flanagan, che ha tagliato il traguardo tre ore prima di Edison Pena, uno dei trentatré minatori rimasti intrappolati per settimane in una miniera cilena. Ma la storia più grande, quella che ha oscurato tutte le altre, è quella dell’infortunio e del ritiro di Haile Gebrselassie, maratoneta leggendario, vincitore di due medaglie d’oro olimpiche, detentore di 28 record mondiali e trionfatore in oltre 130 corse importanti.
Soprannominato Il Re e considerato da tutti l’assoluto favorito alla vigilia, Gebrselassie ha avuto un problema fisico al ginocchio il giorno prima della maratona. È arrivato alla linea di partenza insieme al poi vincitore Gebremariam, in autobus, e insieme a lui ha corso fino al venticinquesimo chilometro. E ha corso lentamente, come tutti gli altri maratoneti, che per rispetto nei confronti di Gebrselassie non si sono azzardati a prenderne le distanze fino a metà corsa, quando sopraffatto dal dolore Il Re si è fermato al ponte Queensboro e si è appoggiato alle strutture di metallo del ponte. Gebremariam l’ha visto fermarsi e l’ha raggiunto. «Hailer, dai», gli ha detto facendogli segno di continuare a correre. «Non ce la faccio, Gebre» ha risposto Gebrselassie incitandolo a continuare: «devi correre, devi raggiungerli». Gebremariam lo ha ascoltato e ha ricominciato a correre. Ha raggiunto quelli che stavano conducendo la corsa, li ha superati — compreso il vincitore della scorsa edizione, poi arrivato sesto — e ha vinto la maratona in sole due ore, otto minuti e quattordici secondo, il sesto miglior risultato nella storia.
Durante la conferenza stampa Gebrselassie ha annunciato il proprio ritiro. «Non voglio più lamentarmi», ha detto strofinandosi gli occhi, «meglio fermarsi qui». Secco il commento del vincitore e suo amico, che ha dichiarato di non essere ancora pronto per raccogliere l’eredità del campione: «deve cambiare i suoi progetti. Deve continuare a correre». Subito dopo aver vinto la corsa, Gebremariam ha trovato un telefono per chiamare la moglie, Werknesh Kidane, un’altra grande maratoneta che se non fosse stato per un infortunio avrebbe debuttato insieme al marito.
Lotta serratissima tra le donne, dove l’esordiente keynana Kiplagat ha combattuto fino alla fine con Flanagan, americana anch’essa al debutto, e la connazionale Mary Keitany. Kiplagat ha staccato le due concorrenti solo all’arrivo a Central Park, battendo Flanagan di venti secondi con un tempo di due ore, ventotto minuti e quaranta secondi. Il Wall Street Journal ha intervistato l’americana, che ha già voglia di ricominciare daccapo. «Ho sentito molte persone finire la maratona e dire di non voler mai più ripetere un’esperienza del genere. Per me è il contrario».
Tra le 45.344 persone che hanno partecipato alla maratona c’era anche uno dei trentatré minatori cileni liberati il 13 ottobre, che ha ricevuto le attenzioni di molti spettatori lungo il tragitto. Grande fan di Elvis, Edison Pena è stato il dodicesimo minatore ad uscire dalla miniera, uno dei più depressi durante le prime settimane sottoterra. Conosciuto come l’atleta del gruppo, correva quotidianamente diversi chilometri al giorno all’interno dei tunnel accessibili dal rifugio. Pena ha finito la corsa in cinque ore, quaranta minuti e cinquantuno secondi.
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