La fine del governo più solido della storia repubblicana
La scelta di Fini di ieri è un bello schiaffo per la capacità della politica italiana di governare l'Italia
Il gioco del cerino acceso, come lo ha definito ieri Bersani, sta diventando stucchevole. La tensione tra Fini e Berlusconi dura ormai da quasi un anno, e da diversi mesi la rottura è stata sancita: dopo lo stillicidio delle prese di distanza dal PdL, i finiani sono passati allo stillicidio delle prese di distanza dal governo. Si poteva arrivarci prima e risparmiarsi questa agonia non ancora esaurita.
Ma qualunque cosa avvenga ora, il governo Berlusconi IV è finito. E se la notizia è stata avvizzita dal fatto che se ne parla quotidianamente da mesi, su una prospettiva storica e politica più ampia torna invece a esserlo: è finito quello che fu annunciato (e tutti riconoscemmo) come il governo più solido che si fosse mai formato in Italia, quello con la maggioranza più inattaccabile, destinato a durare cinque anni mentre il paese avrebbe assistito ai suoi successi o insuccessi e le opposizioni avrebbero potuto solo prepararsi per la scadenza elettorale successiva.
Invece quel governo, nato l’8 maggio 2008, muore a due anni e mezzo: e rischia di non sopravvivere neanche quella maggioranza, vedremo. Muore non solo la sua spergiura nutrita rappresentanza di ministri (aumentata a ogni pié sospinto dopo le promesse elettorali), ma anche il diabolico progetto che lo aveva costruito – la creazione del PdL e la legge elettorale ad centrodestram – e l’idea che la sua procurata stravittoria elettorale lo radicasse su fondamenta solidissime e che la longevità tormentata delle precedenti gestioni Berlusconi potesse essere canonizzata e stabilizzata.
Muore l’idea che il sistema politico italiano sappia governare l’Italia stabilmente. In questo ventennio non ci è riuscito il centrosinistra, vittorioso solo con maggioranze fragili e litigiose, e il centrodestra lo ha fatto solo grazie all’accidente berlusconiano – irripetibile variabile nella prospettiva della storia – che mostra oggi tutta la sua precarietà. C’era una maggioranza con due grandi forze – quella del suo leader e quella dei suoi numeri in parlamento – e l’unica che si è dimostrata importante , ma non bastante, è stata la prima. Pensare che la quantità di parlamentari potesse rimpiazzare la loro qualità è stata una scelleratezza di cui pagheremo le conseguenze a lungo e che adesso riscuote una fin troppo piccola punizione.
E così, a breve distanza, sono ridimensionate le due imprese più rivoluzionarie del panorama politico italiano dell’ultimo mezzo secolo: il PD come fu pensato e il PdL come fu costruito. Il primo è tornato a essere – dal fallimento veltroniano – la somma al momento perdente di due partiti che c’erano, il secondo la somma oggi sconfitta di un partito e mezzo. Per quanto ci si rallegri della prospettiva di prossimo esaurimento del governo Berlusconi e dei suoi disastri, non butta bene.