L’effetto Dalai Lama
Uno studio dimostra che la Cina punisce i paesi che intrattengono relazioni ufficiali col leader tibetano
Il dibattito sui rapporti con Dalai Lama ha coinvolto, nel tempo, praticamente tutti i governi del mondo occidentale. È diventato, a un certo punto, una sorta di test di maturità e indipendenza: è noto infatti che la Cina non è affatto contenta di vedere il leader spirituale dei tibetani intrattenere relazioni ufficiali con capi di stato e di governo, e a ognuno di questi incontri seguono avvertimenti e minacce. La discussione si ripresenta ciclicamente anche in Italia, dove sia Romano Prodi che Silvio Berlusconi decisero di non incontrare il Dalai Lama durante i loro mandati alla presidenza del consiglio. Altri paesi invece hanno riservato all’autorità buddista accoglienze migliori: nel 2006 gli Stati Uniti gli dedicarono la medaglia d’oro del Congresso, la più alta onorificenza civile del paese; pochi anni dopo il Dalai Lama incontrò la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy; l’anno scorso il Dalai Lama è stato accolto a Washington da Barack Obama.
Uno studio dell’università tedesca di Gottingen, ripreso oggi dalla CNN e nei giorni scorsi da Wall Street Journal e Foreign Policy, racconta delle ripercussioni economiche seguite a quelle visite ufficiali, e stima che i paesi che accolgono il Dalai Lama perdono in media l’8 per cento nelle esportazioni verso la Cina nei due anni successivi alla visita. Lo chiamano “effetto Dalai Lama”.
Utilizzando dati ufficiali forniti dalle Nazioni Unite, due studiosi tedeschi hanno preso traccia delle esportazioni di 159 paesi dal 1991 al 2008. Una fase di grande espansione mondiale del mercato cinese e quindi anche delle esportazioni verso la Cina, che però hanno incontrato ostacoli e rallentamenti solo dopo gli incontri ufficiali del Dalai Lama con i presidenti, i re o i primi ministri di alcuni paesi. Il portavoce del Dalai Lama ha commentato lo studio dicendo che questo “non vuole causare alcun danno ai paesi che lo ospitano”, mentre il ministero degli esteri cinese non ha commentato.
Ci sono prove empiriche che confermano l’esistenza di un deterioramento delle esportazioni verso i paesi che ricevono ufficialmente il Dalai Lama. L’effetto è diventato più debole negli ultimi anni, e in ogni caso si verifica soltanto in presenza di incontri ufficiali con capi di stato o di governo. Gli incontri con funzionari di basso livello invece non hanno conseguenze. I paesi i cui leader politici ricevono ufficialmente il Dalai Lama vedono le loro esportazioni verso la Cina scendere dell’8,1 per cento (elaborando altri dati, si arriva al 16,9 per cento). Questo effetto sparisce nell’arco di due anni dall’incontro col Dalai Lama.
“La Cina ha interesse a ristabilire la regolarità delle proprie relazioni commerciali”, ha detto uno degli autori dello studio, “ma ha anche interesse a mostrare le conseguenze concrete delle proprie arrabbiature”. Anche a costo di farsi un po’ del male. “Frenare il mercato può danneggiare la crescita economica, sia a breve che a lungo termine”, ha detto a CNN Alistair Thornton, analista esperto di cose cinesi.
Il calo delle esportazioni si verifica soprattutto nel settore dei macchinari e dei mezzi di trasporto. Questo perché la compravendita di questi prodotti passa soprattutto attraverso gli accordi bilaterali e quindi è rigidamente controllata dai capi di governo. Ovviamente i leader cinesi sono a conoscenza delle possibili controindicazioni dell’utilizzo della regolazione del mercato come strumento di politica estera. Se lo fanno, argomenta lo studio, è perché sanno che in questa fase la strategia garantisce loro più benefici politici che danni economici.