L’università più vecchia d’Europa
No, non la più antica: la più anziana. Indovinate qual è
Massimiano Bucchi, quarant’anni, sociologo all’università di Trento, oggi ha scritto per la Stampa un’analisi del problema di immobilismo dell’università italiana (il luogo che per sua natura dovrebbe essere più mobile ed elastico nelle istituzioni nazionali).
C’è un dato che meglio di ogni altro fa comprendere la difficoltà di intervenire sull’università e sulla ricerca italiana. E’ quello relativo all’età del personale docente.
L’Italia ha la quota più bassa di docenti con meno di 40 anni di tutti i 27 Paesi europei: meno del 16%. In Francia e Spagna la percentuale di docenti «giovani» è esattamente doppia della nostra. In Svezia, Olanda e Germania supera il 40%. Ma perfino in Bulgaria, Belgio e Portogallo – Paesi che certamente non brillano su scala internazionale per investimenti in ricerca – gli «under 40» sono nettamente più rappresentati che da noi. Su 10 docenti attivi in Italia, quasi sei hanno più di 50 anni e anche questo, purtroppo, è un record assoluto: nella gran parte degli altri Paesi gli ultracinquantenni sono un terzo del totale, se non di meno.
Il dato non deve naturalmente essere tradotto nella necessità, come a volte semplicisticamente si sostiene, di «rottamare» indiscriminatamente le fasce più anziane della docenza.
E’ chiaro che ci sono situazioni estremamente diverse e che non mancano gli studiosi in età avanzata ancora attivi o in grado di rappresentare punti di riferimento per le nuove generazioni.
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