La volta che si fecero scappare al Zarqawi
L'elicottero che lo stava seguendo finì il carburante e fu costretto a rientrare alla base
Nel marzo del 2005 le truppe britanniche si fecero sfuggire per un soffio Abu Musab al-Zarqawi – l’allora capo di al Qaida in Iraq – perché l’elicottero che lo stava seguendo finì il carburante e fu costretto a rientrare alla base. La storia è raccontata nei documenti sulla guerra in Iraq diffusi da Wikileaks e oggi viene ricostruita in un articolo dal Guardian.
Al Zarqawi era allora uno degli uomini di al Qaida più ricercati e sulla sua testa pendeva una taglia di 25 milioni di dollari. Di origine giordana, guidava le operazioni di al Qaida in Iraq per conto di bin Laden coordinando i gruppi fondamentalisti sunniti del paese. Il suo mancato arresto quel giorno del marzo 2005 gli concesse altri quindici mesi di libertà, prima di essere ucciso da un bombardamento aereo americano nel giugno del 2006.
Durante quei quindici mesi condusse alcune delle più sanguinose operazioni mai compiute contro la popolazione sciita irachena, portando il paese sull’orlo della guerra civile. I suoi uomini furono anche responsabili dei continui attacchi di quel periodo contro le forze dell’esercito americano e quelle del governo iracheno. E furono sempre loro che nel febbraio del 2006 bombardarono un tempio sciita a Samarra, innescando una serie di vendette omicide a catena fra i due gruppi che durò almeno un anno e mezzo.
Nei file di Wikileaks si legge che il 17 marzo 2005 una cellula dell’intelligence britannica con base a Basra aveva saputo che Zarqawi stava viaggiando verso sud sulla strada da Amarah a Basra. Decisero di informare le forze alleate danesi alle 2.15 del pomeriggio. I danesi avevano un ruolo minore all’interno della coalizione guidata dalle truppe britanniche nel sud-est dell’Iraq. Un’ora e mezzo dopo, dice il rapporto, un elicottero Lince individuò una macchina sospetta che si era fermata dodici chilometri a sud di al-Qurna e novantasei chilometri a nord di Basra. Il rapporto dice che l’elicottero mantenne il controllo dell’area per quindici minuti ma poi fu costretto a rientrare nella base logistica di Shaiba, gestita dalle truppe britanniche, per fare rifornimento.
«Di conseguenza, l’area di interesse non fu più monitorata per un periodo di circa 20/30 minuti», dice il rapporto. Nel frattempo le truppe britanniche avevano creato un cordone intorno all’area. Arrivarono anche forze speciali dell’esercito britannico e americano, tra cui un ufficiale americano che avrebbe dovuto compiere l’arresto finale. Ma senza l’elicottero alle truppe non restava che cercare da terra. Ci fu un raid in una moschea sciita, ma all’interno furono trovati soltanto civili. La stessa cosa accadde poco dopo per un altro edificio. Il rapporto si chiude così: «Alle 22.14 finirono le operazioni di ricerca».
A differenza di molti altri rapporti contenuti nei documenti diffusi da Wikileaks, spiega il Guardian, questo non fa nessun commento sull’attendibilità della fonte da cui l’esercito britannico aveva ricevuto la soffiata su Zarqawi. Nessuno ha mai confermato che al-Zarqawi fosse davvero in quella macchina, ma dalla rapidità con cui l’esercito britannico decise di inviare decine di truppe nell’area sembrerebbe che avessero preso la notizia molto sul serio.
Al Zarqawi era arrivato sotto i riflettori della stampa internazionale nel settembre del 2004, quando alcuni suoi uomini a Baghdad rapirono Ken Bigley – un contractor britannico che lavorava su progetti di ricostruzione – e due suoi colleghi americani. I tre uomini furono mostrati in un video inginocchiati davanti alla telecamera, due giorni dopo furono decapitati dopo che le autorità delle forze alleate si erano rifiutate di trattare la loro liberazione. Ma si tratta ancora di un’operazione minore se confrontata con quello che al-Qaida riuscì a fare nei due anni successivi.
Guidato da Osama Bin Laden, il movimento non era attivo in Iraq prima dell’invasione degli Stati Uniti nel marzo 2003. Anche se l’amministrazione Bush e la CIA hanno sempre rifiutato questa correlazione, sostenendo invece che Saddam Hussein fosse da tempo collegato ad al-Qaida. Eliza Manningham-Buller, capo del MI5 all’epoca (l’agenzia per la sicurezza e il controspionaggio del Regno Unito, ndr), ha raccontato lo scorso mese nell’ambito dell’inchiesta sull’Iraq che rovesciando Saddam Hussein, americani e britannici aprirono le porte ad al-Qaida in Iraq. «Abbiamo dato a Osama bin Laden la possibilità di portare la jihad in Iraq in un modo che prima non gli sarebbe stato possibile», ha detto.
Abu Musab al-Zarqawi conobbe bin Laden durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan alla fine degli anni ottanta. Arrestato nel 1992 in Giordania, fu condannato per avere cercato di rovesciare la monarchia e stabilire un califfato islamico. Liberato dopo cinque anni, fondò un suo movimento fondamentalista chiamato al-Tawhid wal Jihad e in seguito all’invasione americana dell’Iraq si alleò con al-Qaida e fu riconosciuto ufficialmente come leader di al-Qaida in Iraq con il titolo di «emiro di Al-Qaida nel paese dei due fiumi».
I documenti di Wikileaks suggeriscono che le sue operazioni in Iraq iniziarono lentamente. I nazionalisti sunniti avevano iniziato la loro resistenza contro gli americani subito dopo la deposizione di Saddam Hussein e Zarqawi entrò nel paese diversi mesi dopo. Nel febbraio del 2004, i documenti riportano che gli italiani avrebbero avuto informazioni su un piano d’attacco suicida a Nassiriya da parte di due uomini di una «cellula di al-Qaida», uno di origine saudita e l’altro libanese. Ad agosto viene segnalata la presenza di una possibile base di al-Qaida a Ramadi e a dicembre i documenti segnalano il fallito tentativo da parte delle forze americane di catturare un sospetto affiliato di al-Qaida a Baghdad.
Nel luglio del 2005, riportano i documenti, una lettera viene inviata alle forze irachene che avevano iniziato a collaborare con gli americani. «La Jihad vi avverte, se non smettete di lavorare con gli americani morirete. Questo è un avvertimento finale dal leader di al-Qaida in Mesopotamia. Se entrerete in una base americana o lavorerete con loro ancora, voi e tutti gli altri con voi saranno uccisi. Allah è grande, firmato da Abu Musab al-Zarqawi, leader di al-Qaida in Mesopotamia».
A questo punto – siamo a luglio 2005 – il mancato arresto di Zarqawi c’è già stato e si continua a dargli la caccia. Nel settembre 2005 i documenti riportano ancora tracce dei suoi spostamenti: si starebbe muovendo tra due villaggi sunniti nell’area a nord di al-Jazira. L’intelligence sostiene che ci sono almeno seicento combattenti stranieri fedeli ad al-Qaida in quell’area e che stanno organizzando un attacco contro la base americana a Ramadi, conosciuta con il nome di Camp Blue Diamond.
Nel febbraio 2006, Zarqawi prepara il suo attacco più grosso. I suoi uomini fanno esplodere la moschea sciita di al-Askari, nella città sunnita di Samarra. L’attacco scatena la reazione degli sciiti in tutto l’Iraq e dà inizio a un’ondata di rappresaglie contro i sunniti e i loro edifici. La violenza si diffonde così rapidamente che centinaia di migliaia di iracheni sono costretti a lasciare le loro case, molti lasciano addirittura il paese. L’attacco iniziale non viene rivendicato da nessun gruppo, ma gli americani sono sicuri che fosse stato organizzato da Zarqawi. Da quel momento raddoppiano i loro sforzi per catturarlo e il 7 giugno riescono a localizzarlo in una casa vicino Baquba. La casa viene immediatamente colpita e distrutta da una serie di bombardamenti aerei. I documenti menzionavano spesso la possibilità di rappresaglie nella «green zone» di Baghdad nel caso in cui Zarqawi fosse stato ucciso, invece alla sua morte non seguì nessuna risposta particolarmente violenta.