Sedici anni di emergenza rifiuti
Un utile riassunto delle puntate precedenti, per capire come siamo arrivati a questo punto
Il bilancio della nottata, a Terzigno, è questo: la proposta di Bertolaso di congelare la discarica non ha sortito effetti tra la popolazione, e così poco dopo l’una sono ricominciati gli scontri. In quattro ore gli agenti di polizia hanno fermato due persone e sequestrato una bomba molotov non esplosa; altre gli sono piovute addosso, esplose, insieme a pietre e fuochi d’artificio sparati ad altezza d’uomo. Gli agenti hanno risposto con cariche, lanci di gas lacrimogeni e fumogeni.
La questione dei rifiuti in Campania è quindi tutt’altro che chiusa, e difficilmente basteranno i dieci giorni annunciati dal premier per risolvere un problema vecchio ormai decenni. Uno di quei problemi in cui il passare del tempo ha tanto spalmato le responsabilità e le colpe che il presidente della regione Caldoro può dire, come ha fatto venerdì, che praticamente non è colpa di nessuno. Invece è utile ricostruire i margini della vicenda, che non semplicemente quelli di una lotta tra cittadini e forze dell’ordine. Oggi su Repubblica Guido Viale fa un utile lavoro di riassunto delle puntate precedenti.
Si comincia nel 1994, quando in Campania viene istituito il Commissario straordinario alla gestione dei rifiuti. E la data ci dice due cose: la prima è che il problema dei rifiuti in Campania trova origine in un’altra era politica di questo paese, nella prima repubblica, e un giorno bisognerà occuparsi anche di ciò che è accaduto prima del 1994; la seconda è che sedici anni fa comincia l’era dei commissari straordinari, che hanno sempre risposto al governo nazionale e non agli enti locali. Quando si parla di attribuzione delle responsabilità, quindi, è bene tenerlo a mente.
Ora, Viale ricorda che i principi per una corretta gestione dei rifiuti sono stati fissati dall’OCSE e dall’Europa. Per prima cosa ridurre il loro volume all’origine, limitando imballaggi e uso di articoli usa e getta. Poi riciclare. Quello che non si può riciclare sia bruciato per produrre energia, e quello che avanza venga messo nelle discariche. Viale dice che in questi sedici anni “in Campania non è stato fatto né tentato nulla”, e d’altra parte la stessa cosa era stata scritta qualche giorno fa dal Corriere della Sera. Quanti soldi sono stati spesi, invece, lo sappiamo: tre miliardi e mezzo di euro, a seguito di venticinque ordinanze emergenziali. Tutto per niente, pare.
Limitandoci agli ultimi tre anni, le politiche di riduzione non sono state nemmeno prese in considerazione; eppure l’emergenza imponeva soprattutto quelle, che sono a costo zero. La raccolta differenziata era stata da tempo affidata a consorzi obbligatori di Comuni, riempiti di personale – ex LSU (lavoratori socialmente utili) e altro – e in molti casi infiltrati dalla camorra, senza mai dotarli di mezzi e attrezzature per operare e di un’organizzazione del lavoro degna di questo nome. Si stima che tra gestioni private, pubbliche e miste, gli addetti ai rifiuti urbani in Campania siano oltre 25mila, mentre un rapporto ragionevole con la popolazione non dovrebbe far loro superare i 6-8mila. Oggi questi consorzi, con il loro personale, i loro debiti, i loro crediti inesigibili, i loro gestori, sono stati riunificati e lasciati in eredità alle Province, che dovrebbero provvedere, senza altri mezzi, alla gestione di tutto il ciclo dei rifiuti urbani, abbandonato in stato comatoso da Bertolaso. Il problema principale è questo, ed è un problema sociale. Senza una soluzione per i lavoratori in esubero, riorganizzare il ciclo dei rifiuti è impossibile.
L’ennesima contraddizione del caos in Campania è questa: che la ragione che ha più problemi con la raccolta differenziata è anche quella che vi impiega – e vi stipendia – un numero sproporzionato di persone. La stessa cosa succede con la separazione meccanica, spiega Viale. La Campania è la regione d’Italia con più impianti di trattamento meccanico biologico.
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Ce ne sono sette, con una capacità che eccede l´intera produzione regionale di rifiuti; con poche modifiche potrebbero permettere anche il riciclo – senza bisogno di successivo incenerimento, che è un processo molto costoso, oltre che nocivo – di quasi tutto quello che vi entra.
Il motivo per cui quegli impianti non sono utilizzati a dovere, continua l’articolo, è che il gruppo Impregilo – responsabile della gestione dell’intero ciclo dei rifiuti – non voleva separare i rifiuti bensì soltanto impacchettarli, per poi bruciarli negli inceneritori incassando i relativi incentivi. Da qui la produzione di sei milioni delle cosiddette “ecoballe”. È finita che non ha funzionato né l’una né l’altra strada: fallita in partenza la strada della separazione meccanica dei rifiuti, le ecoballe sono ancora dove sono. Di inceneritore ne è stato fatto soltanto uno ad Acerra – la legge del 2008 ne prevedeva quattro – e funziona a mezzo servizio. Le ecoballe rimangono dove sono, stipate in quelli che dovrebbero essere impianti di compostaggio quindi inutilizzabili: “i Comuni che fanno la raccolta differenziata dell´organico devono spedirlo in Veneto o in Sicilia a costi proibitivi”. Bertolaso decide allora di utilizzare gli impianti per la separazione dei rifiuti per distruggerli in modo indifferenziato e metterli nelle discariche, in attesa di inceneritori che funzionino meglio e di più.
Di qui i miasmi che appestano la popolazione che ci abita accanto, oltre al percolato che dilava nelle falde e al metano che ne esala, moltiplicando il contributo italiano all’effetto serra.
Quindi, alla fine, di tutti i molti modi per smaltire i rifiuti, non ne rimaneva che uno solo, il più rozzo e dannoso, quello che l’OCSE e l’Europa indicavano come extrema ratio: le discariche. La legge nel 2008 ne impone la costruzione di dodici, e qui c’è la battaglia con i comuni. Perché la legge prevede che quasi tutte le discariche siano costruite all’interno di aree naturalistiche protette. Che però sono anche aree dove si è costruito liberamente e abusivamente per anni, e che a volte sono state dichiarate “aree naturalistiche” proprio per mettersi al riparo dalla costruzione di discariche e inceneritori.
Prima di lasciare, Bertolaso, usando l’esercito – come già aveva fatto prima di lui De Gennaro con Prodi – per raccogliere i rifiuti per strada, ma soprattutto per difendere discariche e inceneritore dallo sguardo indiscreto di sindaci e popolazione, aveva già quasi riempite tutte le discariche esistenti al momento del suo insediamento; ne aveva fatta costruire una nuova (quella, contestatissima, di Chiaiano), per poi lasciare la patata bollente delle due di Terzigno, nel parco del Vesuvio, oggi epicentro della rivolta, a chi sarebbe venuto dopo di lui: senza soldi, senza poteri, senza progetti. Dunque, Berlusconi in Campania ha fatto un miracolo: la discarica. E i risultati – prevedibili, e previsti da chi non voleva chiudere gli occhi – si vedono.