Italiani non disponibili
L'indagine di Repubblica sugli italiani che vivono e lavorano all'estero
di Luca Sofri
Quando qualche anno fa conobbi Ivan Scalfarotto e collaborai ai suoi impegni politici, scoprii la quantità e qualità degli italiani nostri coetanei che vivevano e lavoravano all’estero: parlo di qualità proprio rispetto alle nostre ambizioni di fare dell’Italia un posto migliore di quello che stava diventando. Ivan era uno di loro e aveva creato una rete di rapporti eccezionale. I trenta-quarantenni italiani all’estero avevano due attitudini che a noialtri loro coetanei mancavano: l’abitudine a confrontare le anomalie italiane con le normalità dei paesi in cui vivono, e a trarne dolori e frustrazioni quotidiane; e la mancanza del rassegnato disincanto che qui in Italia si coltiva sistematicamente e si nutre di sé, la mancanza dell’abitudine al disastro che a un certo punto ti porta a ignorarlo e a conviverci.
I “giovani” italiani all’estero sono un patrimonio preziosissimo su cui investire alcune delle chances di inversione della tendenza decadente italiana (uno che lo ha capito da molto è Beppe Severgnini, altro gran raccoglitore delle loro esperienze e speranze). Sia in termini più convenzionalmente politici – attraverso i loro impegni in questo senso – sia a partire dalla ricchezza di produzione culturale e di innovazione delle cose che fanno in giro per il mondo, che non ricadono semplicemente nella categoria “italiani che fanno onore al loro paese” con cui riempire le pagine delle riviste: ma sono quello che l’Italia può essere e diventare. E i luoghi che danno loro opportunità di esprimersi dovrebbero essere modello per le cose da fare qui.
Repubblica.it sta provando a raccogliere e organizzare informazioni e riflessioni su queste persone, e oggi pubblica un resoconto di Claudia Cucchiarato.
“Dati non disponibili”. Questa è la risposta che i ministeri degli Esteri e dell’Interno forniscono a chi cerca di descrivere la nuova emigrazione italiana. Non quella con la valigia di cartone che partiva nel secolo scorso alla ricerca di un lavoro in Germania, in Svizzera, in Belgio, negli Stati Uniti o in Argentina. Questi emigrati e i loro figli e nipoti sono censiti in modo sistematico dalle nostre istituzioni. I dati che mancano sono quelli riguardanti i nuovi migranti: ricercatori, professionisti, cervelli in fuga, ma non solo, che prendono un volo lowcost e si trasferiscono in Inghilterra, in Spagna o in Francia per inaugurare una nuova vita.
Alcuni saggi si sono recentemente occupati di questo fenomeno. Nel mio libro, Vivo altrove. Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi (Bruno Mondadori, 2010), ho cercato di mettere in luce le motivazioni di un aumento esponenziale della nuova emigrazione “nascosta” dall’Italia. Una tendenza all’espatrio dei neolaureati, in cerca di fortuna o di nuove esperienze, che si registra in quasi tutti i Paesi occidentali. Ma che da noi ha la peculiare caratteristica di essere esclusivamente a senso unico: i giovani altamente istruiti se ne vanno in massa dall’Italia, ma pochi sono i coetanei stranieri delle stesse caratteristiche che li vengono a sostituire, ancor meno quelli che dopo un lungo periodo all’estero trovano il coraggio di tornare.
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