La riforma dell’università traballa
La Ragioneria dello Stato boccia gli emendamenti proposti al ddl Gelmini per mancanza di fondi
di Elena Favilli
La Ragioneria Generale dello Stato e il ministero dell’economia hanno bocciato le modifiche apportate la settimana scorsa in commissione bilancio al ddl Gelmini, perché prive della necessaria copertura finanziaria. L’arrivo del testo alla Camera previsto per oggi slitta quindi a domani ma per il voto si dovrà aspettare la fine della sessione di bilancio. Questo vuol dire che se ne dovrebbe riparlare, nella migliore delle ipotesi, tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre. Cioè a ridosso della pausa prevista per le festività natalizie, con il rischio concreto che la riforma finisca su un binario morto nell’eventualità che si vada alle elezioni a marzo.
L’analisi tecnica della Ragioneria dello Stato ieri ha segnalato che «sono stati approvati numerosi emendamenti che determinano effetti finanziari negativi tali da pregiudicare la stabilità dei conti di finanza pubblica». E ha espresso «parere contrario» a una serie di modifiche: su tutte, la creazione di un fondo con cui finanziare lo scatto di carriera di novemila ricercatori strutturati – ovvero ricercatori con un contratto stabile a tempo indeterminato, quindi non ricercatori precari – che in questo modo diventerebbero professori associati. Il costo previsto per l’operazione era stato fissato a 80 milioni di euro per il primo anno, 1,7 miliardi in sei anni.
Quello dei ricercatori è il punto più contestato della riforma, che aveva convinto il governo a rinviare già una prima volta il voto alla Camera dal 5 ottobre a oggi. Il disegno di legge prevede infatti l’abolizione della figura del ricercatore strutturato e stabilisce che i ricercatori entrino nell’università solo con contratti a tempo determinato (4-5 anni), seguiti da contratti triennali. Al termine di questi contratti sarebbe necessario superare un esame di idoneità per avere la conferma a tempo indeterminato come professori associati. Nel caso in cui non dovessero ottenere questa idoneità, il loro rapporto con l’ateneo sarebbe chiuso per sempre. Per questo motivo i ricercatori hanno accusato il governo di avere introdotto una nuova e più grave forma di precariato nella loro attività e stanno protestando ormai da settimane con il blocco della didattica.
Anche Futuro e Libertà si è schierato contro il governo su questo punto e ha fatto sapere che voterà a favore della legge solo se il governo «garantirà le risorse necessarie ad una riforma universitaria che tenga conto dei fondi indispensabili per la ricerca». Il ministro Gelmini in una nota ufficiale ha detto di accogliere la decisione positivamente: «Accolgo positivamente il fatto che il centrodestra ritenga l’università una priorità», ha detto «arrivati a questo punto, ha ragione la maggioranza quando chiede di legare e contestualizzare le riforme alle risorse». Il sottosegretario a Palazzo Chigi Gianni Letta ha confermato l’impegno del governo sulle risorse e ieri il premier Silvio Berlusconi in un incontro mattutino con Tremonti gli avrebbe ricordato come la riforma degli atenei sia uno dei punti prioritari del programma. Oltre alle risorse per i ricercatori resta sempre anche il nodo degli 1,3 miliardi di tagli che il fondo per il finanziamento ordinario subirà nel 2011. Di questi, in base a un accordo raggiunto nei giorni scorsi, verrebbero recuperati circa 820 milioni.
Intanto continuano le proteste negli atenei. Ieri a Pisa gli studenti hanno organizzato un’assemblea di ateneo cui ha partecipato anche il neorettore, Massimo Mario Augello. Le facoltà di Ingegneria di Roma La Sapienza e quella di Lettere di Arezzo sono state occupate e nella maggior parte delle facoltà continua il blocco della didattica organizzato dai ricercatori strutturati che, pur non avendo nessun obbligo d’insegnamento, di fatto svolgono il 40 per cento delle attività didattiche nelle università italiane. Oggi l’Unione degli universitari sarà a manifestare con un sit-in di protesta davanti alla Camera.
La Rete29Aprile – la rete nazionale dei ricercatori strutturati che si è costituita lo scorso aprile in opposizione al decreto Gelmini – denuncia infatti che questi novemila posti che vengono tanto sventolati in questi giorni in nome dell’importanza della ricerca andrebbero in realtà soltanto a creare novemila nuovi professori associati in sei anni senza assumere una sola persona in più nell’università, visto che si tratterebbe appunto solo di scatti di livello per ricercatori strutturati e non di assunzioni di ricercatori precari. Il rischio, dicono, è che fra sei anni i ricercatori precari – quando si saranno fatti tutta la trafila dei contratti a tempo determinato – troveranno un’università in cui i posti da associati saranno praticamente saturi e atenei senza soldi per assumerli.