Cosa ci fa il caffè
Massimo Bernardi spiega cosa ha imparato sulla caffeina
di Massimo Bernardi
A che numero di caffè siete arrivati? Johann Sebastian Bach amava il caffè (mai sentita la sua Cantata?) anche Voltaire, Balzac e altre grandi menti. Però, al contrario di quanto si crede, non ottenevano molti benefici dal prodigioso consumo, che stimola la produttività soprattutto nelle persone il cui lavoro non richiede pensieri astratti o sottili. Come dimostrano alcuni studi, bere molto caffè (o altre bevande che contengono caffeina) migliora principalmente la memoria dichiarativa, il tipo usato dagli studenti durante gli esami per rispondere ai professori. Altri studi hanno evidenziato vantaggi nelle persone che definiamo “impulsive”, o che tendono a sacrificare la precisione in favore della rapidità. Ecco perché, quando parliamo di benefici del caffè sul nostro lavoro, dobbiamo pensare più che altro alla velocità. Oppure consideriamola una questione irrisolta. Siamo ancora distanti dal sapere con precisione quali processi chimici intervengono quando, per esempio, si scrive un post sugli effetti della caffeina nel nostro cervello in un mattino che, manco a dirlo, richiede parecchi caffè.
Dove ho imparato queste cose? Da un libro di 224 pagine che, insieme al post che lo riassume, merita di essere letto d’un fiato. Cercando di non diventarne dipendenti come sta capitando a me. È del 97, ma rimane il testo più accessibile sull’argomento: scienza concentrata e molto comprensibile.
Dicevamo che malgrado la notorietà, la caffeina è una sostanza largamente fraintesa. Non è un semplice stimolante e agisce in maniera diversa a seconda delle persone. La scienza moderna non ha neanche lontanamente compreso il rapporto tra cervello e caffeina ma gli scienziati sanno che esiste in natura una sostanza che colpisce la mente, e sono tutti abbastanza d’accordo sul come.
Quando siamo svegli, in ogni momento e anche se a volte può sembrarci il contrario, i neuroni del cervello sono attivi. Un segno della loro attività è la produzione di adenosina, i cui livelli sono costantemente monitorati attraverso i recettori del nostro sistema nervoso. Di solito, quando i livelli di adenosina nel cervello e nel midollo spinale raggiungono certi valori, il corpo ci spinge verso il sonno, o perlomeno, ci consiglia di prenderla comoda.
È a questo punto che si inserisce la caffeina scambiata per adenosina dal nostro organismo. I 90/100 mg contenuti in un caffè puntano dritto verso i recettori, e, a causa della somiglianza con l’adenosina, entrano senza ostacoli nei nostri recettori. Che però, nonostante il trucco, un vero make-up chimico, non si attivano. Con i recettori bloccati, gli stimolanti del cervello, la dopamina e il glutammato, possono svolgere il loro lavoro più liberamente. Per rendere l’idea, l’autore del libro paragona la caffeina a un pezzetto di legno messo sotto il pedale del freno. E’ solo una metafora ma spiega con chiarezza che la caffeina non schiaccia il pedale dell’acceleratore, si limita a bloccare il principale freno del cervello. Esistono altri recettori che agiscono sul nostro livello di energia (come i recettori GABA), ma detta alla grossa, la caffeina è un modo per impedire al cervello di rallentare. In altre parole, la caffeina non cancella la stanchezza di una settimana passata sui libri fino a notte fonda, ma può essere utile per sentirsi meno assonnati durante la mattina.
Come abbiamo detto, questi effetti cambiano per durata e intensità da persona a persona, a seconda della genetica, dei fattori fisiologici e della tolleranza. Dobbiamo capire però, che al contrario di stimolanti diretti come l’anfetamina o la cocaina, l’azione della caffeina sul nostro autocontrollo è molto più subdola.
Efficacia, tolleranza e mal di testa.
Perchè dopo un intervento chirurgico molti pazienti si svegliano dall’anestesia col mal di testa? Spesso è perché non sono abituati a stare così a lungo senza caffè. La buona notizia è che se continuano per qualche giorno, dopo riusciranno a prenderlo solo quando ne hanno effettivamente bisogno.
Abbiamo già detto che l’efficacia della caffeina cambia da persona a persona, comunque, l’emivita media, cioè la quantità di tempo impiegata dalla metà di una dose ingerita per uscire dal nostro corpo, è di 5-6 ore. Quando sono nella fase tra l’ovulazione e l’inizio del ciclo mestruale, le donne impiegano il doppio del tempo mentre i fumatori abituali la metà. Cosa che in parte spiega perché i fumatori bevono molto caffè e si sentono più agitati e ansiosi.
Più assumiamo caffeina, più il nostro corpo (e la nostra mente) aumenta il livello di tolleranza, così, per ricevere lo stesso stimolo del primo sorso di caffè ci serve una quantità maggiore di caffeina. Mentre su questo gli scienziati concordano, non è ancora chiaro come si sviluppa il livello di tolleranza. Molti studi suggeriscono che, esattamente come nella dipendenza dalle droghe, il cervello prova a tornare alle funzioni normali mentre è “sotto l’attacco” della caffeina creando più recettori dell’adenosina. Ma è anche dimostrato che assumere regolarmente caffeina diminuisce il numero di recettori per la noradrenalina, un ormone simile all’adrenalina, e insieme alla serotonina, un potenziatore dell’umore. Allo stesso tempo, nei nostri corpi possono aumentare del 65% i recettori per il GABA (ricordate?), una sostanza che fa molte cose, compreso regolare il tono muscolare e l’attività dei neuroni. Uno studio del 1995 suggerisce che per creare un primo livello di tolleranza alla caffeina il nostro corpo impiega dai 7 ai 12 giorni.
Per chi assume caffeina con regolarita, l’astinenza inizia molto presto, tra le 12 e le 24 ore dopo l’ultima volta. Questo spiega come mai il caffè del mattino è così importante: allevia gli effetti dell’astinenza. A causarla è lo stesso motivo delle altre dipendenze da sostanze, il nostro sistema richiede al cervello di interagire direttamente con la caffeina. Quando smettiamo di assumerla, il primo effetto collaterale è il mal di testa, ma possono seguire depressione, stanchezza, irritabilità, nausea e vomito, oltre a disturbi più specifici come gli spasmi muscolari. In generale comunque, i sintomi durano circa 10 giorni.
Uscire dall’abitudine e imparare come si tiene sotto controllo la caffeina.
A meno di non bere il contenuto di 4 tazze di caffè in una sola volta, è difficile avvertire lo stimolo della caffeina, infatti, chi arriva a prendere 10 caffè al giorno, è probabilmente meno sveglio di chi non ne beve. Allora, cosa dobbiamo fare per ottenere di nuovo un vero stimolo dalla caffeina e per essere meno dipendenti?
“In pratica“, e fate attenzione perché a rispondere è proprio l’autore del libro di 240 pagine, Stephen Braun: “per ottenere una scossa solo quando ne abbiamo effettivamente bisogno, è meglio che il cervello ’si asciughi’ per qualche giorno“. Come dire che non dobbiamo assumere caffeina per una settimana almeno.
«E questo detto da uno che amava la sua macchinetta e il caffè in tutte le forme. Ma dopo 30 anni non faceva più per me. Il problema con la caffeina è che il nostro corpo ha recettori ovunque, muscoli compresi. Il fatto che i miei fossero continuamente rigidi e doloranti aggravava un dolore in fondo alla schiena spesso degenerato in spasmi muscolari. Inoltre, ho bevuto così tanto caffè e con tanta regolarità, che non ne avvertivo più i benefici, anzi, ero solo un po’ più irritabile.
Così, un anno fa, lentamente, ho iniziato a rallentare, e oggi, bevo solo una tazza di tè al mattino, metà nero, metà alla menta (la quantità di caffeina nel tè nero non farebbe male a un moscerino). Non solo sto meglio, ma il mio cervello è libero dalla caffeina, per cui capisco quando ha davvero bisogno uno stimolo, e solo in quel momento, libero e in sollucchero, indulgo in una tazza di caffè. Poi smetto, e lascio che il cervello ’si asciughi’ di nuovo.
Okay, questa è la verità, anche se devo riconoscere che qualche volta bevo un espresso solo perché il sapore è maledettamente buono»