Qual è il problema a Okinawa
BBC ricostruisce la storia dell'isola occupata per il quindici per cento da un complesso militare americano
Lo scorso giugno Yukio Hatoyama fu costretto a dimettersi dall’incarico di primo ministro del Giappone in seguito al dichiarato fallimento sulle sorti di Okinawa, l’isola giapponese occupata per il quindici per cento da un complesso militare americano.
Durante la campagna elettorale Hatoyama aveva promesso che avrebbe trasferito la base aerea di Futenma al di fuori dell’isola – come da tempo chiedono gli abitanti di Okinawa – ma poi era tornato sui propri passi cedendo alle pressioni degli Stati Uniti. La decisione fece crollare immediatamente la sua popolarità nell’intero paese e le scuse rivolte in pubblico agli abitanti di Okinawa non bastarono a risparmiargli le dimissioni a meno di un anno dalla sua elezione, mettendo nei guai il travagliato governo giapponese.
L’isola di Okinawa era stata oggetto del più grande assalto anfibio che interessò l’area del Pacifico alla fine della seconda guerra mondiale. L’“Operazione Iceberg” ebbe luogo tra i mesi di marzo e giugno del 1945 e vide contrapposte le forze degli Alleati e quelle dell’Impero giapponese. La battaglia navale e lo scontro terrestre portarono alla vittoria degli Alleati, ma causarono la morte e il ferimento di decine di soldati americani, mentre i giapponesi contarono circa 66 mila morti. Il confronto colpì anche la popolazione locale: si stima che un terzo degli abitanti dell’isola morì nella primavera del 1945.
BBC ha ricostruito la storia dell’isola, e le ragioni dello scontento degli abitanti.
Fino alla fine dell’ottocento Okinawa era uno stato indipendente retto da una monarchia. Nel 1879 fu annessa al Giappone. Alla fine della seconda guerra mondiale, con la resa del Giappone, l’isola passò sotto il controllo degli Stati Uniti fino al 1972. Successivamente gli americani, di concerto con le autorità giapponesi, decisero comunque di mantenervi le loro basi militari. L’accordo è alla base dell’alleanza militare tra Stati Uniti e Giappone. Per dirla in modo semplice, gli Stati Uniti proteggeranno il Giappone se il Giappone ospita e paga per le loro truppe. Oggi circa 26.500 persone dell’esercito americano vivono a Okinawa in oltre trenta diverse basi.
Stati Uniti e Giappone hanno sempre motivato il loro accordo adducendo ragioni di sicurezza. La base, dicono, è di importanza strategica in una regione politicamente così instabile e competitiva. E poi ci sarebbero delle ragioni economiche: l’isola ricava il 5 per cento del suo prodotto interno lordo dalla base americana, più di novemila abitanti ci lavorano e affitti molto generosi vengono pagati sia alle famiglie che hanno dato la loro terra in concessione sia alle autorità locali.
Gli oppositori invece si lamentano per il rumore prodotto dai mezzi dei militari, per i pericoli legati alla possibilità di incidenti aerei e per la criminalità: i soldati sarebbero spesso ubriachi e si renderebbero protagonisti di crimini e violenze. E denunciano il rischio che l’isola perda la sua identità culturale, finendo per diventare completamente dipendente dalla presenza militare americana. Al contrario, sostengono, se la terra fosse restituita a Okinawa potrebbe essere usata in modo molto più produttivo.
La prima protesta arrivò nel 1972, quando gli abitanti di Okinawa vennero a sapere che la base non sarebbe stata chiusa nonostante l’isola fosse tornata sotto il controllo del Giappone. Un’altra ci fu nel 1995, in seguito allo stupro di una bambina di dodici anni da parte di un gruppo di soldati americani. L’ultima ondata di protesta c’è stata nell’aprile di quest’anno, quando è iniziato a diventare chiaro che la promessa elettorale di Hatoyama non sarebbe stata mantenuta.
Diciassettemila persone formarono una catena umana intorno alla base aerea di Futenma, ma Hatoyama decise comunque di fare dietrofront e a maggio riconobbe il suo fallimento annunciando che non avrebbe più rimosso la base completamente dall’isola come promesso ma che avrebbe soltanto cercato di spostarla in un’area meno popolata di Okinawa, come già era stato ipotizzato da un progetto del governo precedente. «La ricollocazione di Futenma dovrà avvenire a Okinawa. Chiedo profondamente scusa per la confusione che ho causato alla popolazione di Okinawa nel non essere in grado di mantenere la mia promessa», disse in un messaggio alla nazione.
Gli abitanti di Okinawa erano furiosi: nessun politico prima di Hayamoto aveva promesso di spostare la base dall’isola e sull’onda di quella promessa erano riusciti a eleggere ben quattro dei loro politici al parlamento. I media locali iniziarono a parlare del «tradimento» di Hatoyama e il premier fu costretto in breve tempo a dare le dimissioni.
«Gli abitanti di Okinawa sanno che la loro voce è stata ignorata per decenni dal governo giapponese», spiega Tetsumi Takara, professore alla facoltà di legge dell’università di Ryukyu, «da quando sono stati annessi al Giappone non hanno mai potuto esercitare il controllo sul proprio destino – è successo durante la seconda guerra mondiale, quando Okinawa divenne teatro dell’unico scontro di terra dell’esercito giapponese, è successo negli anni sessanta quando il governo giapponese consentì agli Stati Uniti di lasciare le loro armi nucleari a Okinawa, ed è successo nel 1972, quando vennero a sapere che la base sarebbe rimasta nonostante l’isola fosse tornata sotto il controllo del Giappone». I diritti dei cittadini di Okinawa, continua, sono stati sempre subordinati alle esigenze di sicurezza dei giapponesi. «Siamo discriminati, è sempre stato questo il problema: quando abbiamo protestato ad aprile non stavamo protestando semplicemente contro la presenza degli Stati Uniti, stavamo protestando contro il trattamento che ci veniva riservato dal governo giapponese».
Il piano di rilocalizzazione, in stallo da allora, sarà sicuramente decisivo alle prossime elezioni di novembre, quando Okinawa dovrà scegliere il suo nuovo governatore: l’unico ad avere diritto all’ultima parola sulla vicenda. Se le elezioni dovessero essere vinte da Yoichi Iha, attuale sindaco di Ginowan e fervente oppositore della base, per il governo giapponese probabilmente arriveranno nuovi guai: a quel punto il governo dovrà decidere se ribaltare il volere espresso dai suoi stessi cittadini e dal loro rappresentante democraticamente eletto o compromettere il suo rapporto con gli Stati Uniti.