Venezia è “deturpata in maniera grottesca”
Un gruppo di esperti culturali ha scritto al governo italiano per fermare la proliferazione dei cartelloni pubblicitari
Un gruppo composto da alcuni dei più grandi artisti ed esperti culturali del mondo ha scritto al governo italiano per chiedere che Venezia sia salvata dalla sempre più dilagante presenza degli enormi cartelloni pubblicitari che coprono i ponteggi degli edifici in restauro e rovinano a detta di molti una delle città più visitate del mondo. La polemica dura ormai da diverso tempo ed è montata negli ultimi mesi, ma questo intervento la diffonderà ancora di più sul piano internazionale, dopo l’articolo sul New York Times del mese scorso che si era fatto interprete della delusione di moltissimi turisti da tutto il mondo.
La lettera, pubblicata sulla rivista londinese The Art Newspaper, è indirizzata al ministro della cultura Sandro Bondi e al sindaco di Venezia Giorgio Orsoni ed è firmata tra gli altri dai direttori del MOMA di New York, del British Museum e del Victoria & Albert Museum, dall’architetto Norman Foster, e da altri direttori dei più importanti musei del mondo, di Stoccolma, San Pietroburgo, Dresda e Boston.
Chiediamo al governo italiano di cambiare la legge che permette di affiggere enormi cartelloni pubblicitari sulle impalcature degli edifici pubblici. Solo dieci anni fa, Venezia era una città priva di simili affissionii. Oggi si stanno moltiplicando. Saltano all’occhio e rovinano l’esperienza di una delle più belle creazioni dell’umanità. La loro grandezza rende invisibili i dettagli e le proporzioni degli edifici e, da quando sono illuminati, rovinano anche la notte, diventando le luci più forti e vistose della città.
Chiediamo di immaginare il dispiacere di quei 17 milioni e mezzo di turisti che ogni anno visitano Venezia. Arrivano con un’immagine in mente e la trovano deturpata in maniera grottesca.
A quelli che affermano che i soldi delle pubblicità sono necessari per restaurare quegli edifici, ricordiamo che dopo la grande alluvione del 1966, quando Venezia era in uno stato ancora peggiore e l’Italia era molto meno ricca, a nessuno è venuto in mente di usare questo metodo per raccogliere fondi.
Devono essere trovati altri modi per finanziare la restaurazione, altrimenti Venezia verrà coperta da pubblicità per il resto della sua vita, dato che a causa della loro età e fragilità ci saranno sempre edifici da restaurare.
Infine, ricordiamo che Venezia è uno dei Patrimoni dell’Umanità per l’Uniesco e che, quando questa scelta è stata accettata, un precedente governo italiano si è preso il compito di proteggere per sempre la natura della città.
L’appello è già stato ripreso sulla stampa internazionale: il Guardian lo ha messo in homepage sotto il titolo “Venezia violata”. Sul Post ci eravamo già occupati della questione. Nell’articolo del New York Times, Renata Codello del Ministero della Cultura aveva risposto alle accuse spiegando che il comune non sarebbe nelle condizioni di rifiutare denaro, che servirebbe a finanziare i restauri sia estetici che strutturali, quindi legati alla sicurezza dei cittadini. Ma, secondo una fonte del New York Times la legge in vigore dal 2004 che permette l’affissione dei cartelloni pubblicitari non avrebbe portato più soldi di prima.
Sul Palazzo Ducale e sul Ponte dei Sospiri, la società che si occupa del restauro (e dei cartelloni) promette che dovrebbe terminare tutto per ottobre 2011: ma è chiaro che il meccanismo si perpetuerebbe, spostando immagini pubblicitarie da un luogo all’altro di Venezia, in perenne necessità di manutenzione. I veneziani critici interpellati sulla questione dal New York Times dicono che mettere cartelloni a Venezia non è come metterli sul Colosseo, che c’è una delicatezza e dimensione di rapporti tra il costruito, i vuoti, l’acqua, e i dannati cartelloni. E che forse si potrebbero scegliere immagini e composizioni di proporzioni meno mastodontiche. Ma il sindaco Orsoni finora ha detto che il Comune ha altro di cui occuparsi: “Non siamo un’agenzia pubblicitaria”.
(Fotografia di Palazzo Ducale di Piero Oliosi)
Dal Post: Venezia 2010