La spartizione della moschea Babri
La Corte Suprema ha deciso che musulmani e induisti dovranno dividersi il luogo sacro che si contendono da decenni
di Pier Mauro Tamburini
Nelle ultime ore in testa alla classifica dei termini più cercati e usati su Google e Twitter ci sono diverse parole a noi misteriose che hanno tutte a che fare con una sentenza attesissima in India e annunciata stamattina: prima fra tutte “Ayodhya”.
La High Court di Allahabad ha stabilito che l’area dove si trovano i resti della Moschea Babri nella città di Ayodhya, nel nord dell’India, dovrà essere divisa tra musulmani e induisti, un terzo ai primi e due terzi ai secondi. Con una sentenza assai articolata e complessa i giudici hanno riconosciuto alla parte induista il controllo di una piccola area della zona in cui si trova un santuario in onore del principe Rama, una delle manifestazioni di Vishnu. Entrambe le parti in causa hanno già dichiarato che andranno in appello e non sembra che questa sentenza possa placare i continui scontri tra i fedeli delle rispettive religioni.
La decisione dei tre giudici del tribunale indiano arriva al termine di una battaglia legale che va avanti da sessant’anni e ha radici nel 16esimo secolo. Sono stati innumerevoli gli scontri violenti tra i due popoli in merito alla questione, il cui primo documentato risale al 1853. Nel 1992, la moschea è stata distrutta dagli indiani induisti durante una manifestazione di protesta a cui hanno partecipato 150mila persone. In occasione della sentenza di oggi, le autorità statali hanno dislocato 200mila membri delle forze di sicurezza in luoghi chiave della regione per prevenire possibili violenze.
La versione induista
Nel 1527, l’imperatore musulmano Babur ha sconfitto il re induista di Chittodgad, Rana Sangrama Singh, usando cannoni e artiglieria. Ha poi preso controllo della regione lasciando in capo Mir Baqi, il generale del suo esercito. Secondo la versione induista, Mir Baqi avrebbe poi distrutto il tempio di Ayodhya, costruito per onorare il luogo di nascita di Rama, e in nome dell’imperatore avrebbe costruito sulle sue rovine la Moschea Babri. Dopo la demolizione della moschea nel 1992, le ricerche paleontologiche sui resti avrebbero trovato un’iscrizione che dimostrerebbe l’esistenza di un tempio induista precedente.
La versione musulmana
I musulmani negano la versione induista, affermando che nessuno tempio indiano sarebbe stato distrutto. Nel diario di Babur, il Baburnama, mancano in effetti le pagine relative a quel periodo e non c’è quindi alcun riferimento né alla nuova moschea né alla distruzione del tempio precedente. Si legge anzi, fanno notare i musulmani, come l’imperatore abbia detto a suo figlio di rispettare l’induismo: “ti trovi in un paese dove la maggior parte dei cittadini sono induisti, dovresti rispettare il loro credo e i loro dei”.
La sentenza
Due dei tre giudici hanno dichiarato che esistono prove archeologiche che mostrano l’esistenza di un tempio precedente alla moschea ma che, allo stesso tempo, la moschea non venne costruita seguendo i principi dell’islamismo — e quindi che di moschea non si tratterebbe. L’area dove si trova il santuario per Rama sarebbe effettivamente il luogo in cui il principe è nato e, in definitiva, due terzi della zona sono andati agli induisti e uno ai musulmani. Uno degli avvocati della comunità musulmana ha dichiarato che «non è una vittoria per nessuna delle due parti. È un passo in avanti. Speriamo che il problema si risolva». Un avvocato della parte induista ha dichiarato che «il 100 per cento dell’area appartiene agli induisti. Perché dividerla?».