In Cina rimane l’obbligo del figlio unico
La legge che obbliga le coppie ad avere un solo figlio non sarà modificata, ma si teme per l'andamento demografico del paese
L’obbligo del figlio unico previsto per legge in Cina non sarà sospeso o rivisto come ipotizzato la scorsa primavera. La conferma arriva direttamente dalla Commissione per la popolazione nazionale e per la pianificazione familiare. La legge interessa le coppie che vivono nelle aree urbane maggiormente popolate e contempla solo alcune eccezioni per le minoranze etniche e per i genitori che siano entrambi figli unici.
«A nome della Commissione, esprimo profonda gratitudine a tutti, la popolazione in particolare, per il loro sostegno alla causa nazionale. Dunque manterremo la politica della pianificazione familiare anche nel corso dei prossimi decenni» ha dichiarato il direttore Li Bin. Si stima che in conseguenza della politica del figlio unico sia stata prevenuta la nascita di almeno 400 milioni di cinesi da quando è stata istituita la norma, ma altre fonti parlano di 250 milioni.
La legge ha però numerosi critici sia all’interno del paese che all’estero, preoccupati che la politica del figlio unico abbia contribuito a un progressivo aumento dell’età media nel paese. La popolazione attiva sta diminuendo, una condizione che mette a rischio l’organizzazione dello stato sociale e che potrebbe anche influire sui livelli della produzione delle enormi quantità di beni che ogni anno vengono esportati verso l’occidente.
Le coppie che non rispettano la legge sul controllo delle nascite vengono pesantemente punite con un complesso sistema di multe. Capita spesso che i genitori decidano di rinunciare al secondo figlio ricorrendo all’aborto, abbandonando il nuovo nato o nei casi estremi commettendo infanticidi.
Lo scorso aprile era stata ventilata la possibilità di rivedere la legge proprio per contrastare il progressivo aumento dell’età media in Cina. Secondo i calcoli dei demografi, a questi ritmi il paese raggiungerà il proprio picco demografico nel 2026 con 1,4 miliardi di abitanti per poi iniziare a diminuire negli anni seguenti. Le autorità cinesi hanno così commissionato numerosi studi negli ultimi mesi per capire se una sospensione della legge sul controllo delle nascite avrebbe potuto invertire l’andamento previsto. La Commissione incaricata ha concluso che l’attuale impianto normativo sulle nascite rimane la scelta migliore.
Negli anni, la legge ha portato anche a una sensibile sproporzione tra maschi e femmine in alcune aree del paese. Molte coppie preferiscono avere un figlio maschio, che porti avanti il nome della famiglia, e così se scoprono di essere in attesa di una figlia decidono di abortire. Nascono 119 maschi ogni 100 femmine mediamente in tutto il paese, ma in alcune province il rapporto è di 130 maschi a 100 femmine. Nelle aree industrializzate, invece, la proporzione è più bassa e si attesta a 107 maschi ogni 100 femmine.
Su China Files, Matteo Miavaldi spiega così le conseguenze in prospettiva dello sbilanciamento tra le nascite:
Come risultato, secondo fonti governative, nel 2020 in Cina la popolazione maschile supererà quella femminile di ben 30 milioni di unità. Dati alla mano, pubblicati da tutti i principali media cinesi in questi giorni, in trent’anni si sono bloccate 400 milioni di nascite, evitando al governo la gestione di una meganazione da 1,7 miliardi di persone: grazie a questo contenimento demografico, sostengono gli esperti, la Cina ha potuto migliorare la maggior parte degli indici di benessere di un Paese. Solo per elencarne alcuni, l’aspettativa di vita è ad oggi oltre i 73 anni; le persone sotto la soglia di povertà sono crollate dai 250 milioni degli anni Settanta ai 40 milioni di oggi; ogni cinese oltre i 15 anni ha ricevuto una media di 8,5 anni d’istruzione, contro i 4,5 della fine del 1979.
Nella provincia del Guandong, uno dei principali propulsori dell’economia cinese negli ultimi anni, alcuni funzionari hanno ipotizzato di rivedere la legge sulle nascite, adottando norme meno vincolanti a partire dal 2030. La Commissione guidata da Li Bin ha però negato questa possibilità, confermando l’intenzione del governo di Pechino di proseguire con la politica del figlio unico.