Il Brasile dopo Lula
Dilma Rousseff resta in testa ai sondaggi nonostante le accuse di corruzione della settimana scorsa
di Elena Favilli
Domenica prossima il Brasile sceglierà il successore di Luiz Inàcio Lula da Silva. Quando fu eletto per la prima volta come Presidente della Repubblica nel 2002, in molti temevano che il suo passato da sindacalista di sinistra sarebbe stato un freno per lo sviluppo economico del paese. Al contrario, i suoi otto anni di mandato hanno segnato uno dei più notevoli periodi di crescita della storia del Brasile. Cosa che gli ha permesso di allargare notevolmente la sua base elettorale e conquistare anche l’appoggio degli imprenditori, tanto da ottenere la partecipazione alla coalizione di governo del suo secondo mandato del partito centrista PMDB (Partido do Movimento Democrático Brasileiro).
Come suo successore, Lula ha già indicato da tempo Dilma Rousseff: esponente del suo stesso partito (Partito dei Lavoratori) ed ex capo del suo staff. Figlia di un esule, poeta e militante comunista bulgaro, durante gli anni della dittatura militare in Brasile si era unita alla resistenza dandosi alla macchia e diventando una guerrigliera della Vanguarda Armada Revolucionária Palmares. Catturata dai militari, è stata anche imprigionata e torturata. La sua candidatura aveva destato molte perplessità all’inizio, proprio perché considerata troppo di sinistra, ma dopo una partenza a rilento i sondaggi degli ultimi mesi l’hanno vista in costante crescita: sarebbe ancora saldamente in testa con il 50 per cento delle preferenze e non dovrebbe avere problemi a vincere al primo turno, nonostante le accuse lanciate contro il governo di Lula la scorsa settimana le abbiano fatto perdere quattro punti percentuali rispetto al precedente sondaggio. Giovedì Erenice Guerra – che aveva preso il posto di Rousseff come capo dello staff di Lula – è stata infatti costretta a dare le dimissioni dopo che la rivista Veja l’ha accusata di essere stata al centro di un giro di tangenti e corruzione insieme al figlio Ismael Guerra.
«La variazione nelle preferenze dipende principalmente dal caso Erenice», spiega José Luciano de Mattos Dias, analista dell’istituto politico brasiliano CAC, «è molto facile produrre uno spostamento di questa entità, ma perché uno scandalo possa avere un vero impatto politico in Brasile serve ben altro: Dilma Rousseff ha ancora il sessanta per cento delle probabilità di vincere al primo turno». «Erenice ha preso una decisione giusta», aveva detto la Roussef commentando le dimissioni di Guerra, «la scelta migliore per il proseguimento delle indagini è quella di farsi da parte». Poi aveva aggiunto di non essere a conoscenza del presunto traffico di soldi in seno al gabinetto.
Nonostante il suo diretto avversario Josè Serra (Partito della Social Democrazia Brasiliana) possa contare su un’esperienza politica trentennale – che lo ha visto ricoprire tra le altre cose incarichi come senatore, ministro, sindaco di San Paolo e più recentemente governatore dello stato di San Paolo – l’enorme popolarità di cui gode Lula finora ha permesso alla Rousseff di restare in testa ai sondaggi. Ma in molti ora stanno iniziando a chiedersi quanto questo possa bastare una volta che sarà davvero eletta come Presidente della Repubblica.
Negli ultimi otto anni Lula ha governato il paese con una rara combinazione di carisma, diplomazia e acume politico. Doti che secondo molti mancano del tutto alla Rousseff, di cui si conoscono le capacità tecniche e la scarsa abilità retorica. Alcuni temono addirittura che possa tornare a cavalcare le sue posizioni marxiste più radicali, spostando l’asse del paese troppo a sinistra. Anche se il problema più reale sembra piuttosto quello di gestire il peso dell’enorme eredità politica di Lula. E completare quello che ha lasciato in sospeso sul fronte di educazione, pensioni e tasse.