Di chi è l’acqua del Nilo?
La lotta per il controllo del bacino del fiume continua e si teme possa peggiorare in un conflitto
La lotta per il controllo del Nilo, una questione geopolitica che va avanti da centinaia di anni, si sta scaldando sempre di più negli ultimi mesi e diversi analisti non escludono la possibilità che prima o poi rischi di sfociare in una guerra vera, scrive il New York Times. Sette nazioni che si affacciano sul fiume più lungo del pianeta si contendono l’uso del bacino, i cui terreni sono posseduti all’80 per cento da Egitto e Sudan in seguito a un trattato del 1929 siglato dalla Gran Bretagna, al tempo colonizzatrice dei due paesi.
Il trattato, riconfermato nel 1959, dà a Egitto e Sudan il diritto di veto sui progetti idroelettrici e di irrigazione degli stati più a monte del corso del Nilo – Etiopia, Uganda, Tanzania, Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Burundi e Rwanda – che quindi considerano gli accordi attuali un’ingiusta eredità del colonialismo. Egitto e Sudan difendono quel trattato, indicando come giustificazione la maggiore aridità delle proprie terre.
L’economia di Egitto e Sudan ruota soprattutto intorno ai campi agricoli sulle rive del fiume, e il timore è che le dighe costruite dalle nazioni che si trovano più vicine alla sorgente diminuiscano eccessivamente il volume d’acqua del fiume. Il numero di cittadini egiziani sta aumentando velocemente e, anche a causa dei molti sprechi, secondo il ministero dell’irrigazione entro il 2017 le acque del Nilo potrebbero non soddisfare più le necessità del paese.
Dopo il rifiuto di Egitto e Sudan di concedere altri territori, lo scorso maggio le sette nazioni a monte del Nilo si sono riunite per raggiungere un accordo che permetta loro di costruire dighe senza la necessità dell’autorizzazione dei due paesi. Finora Etiopia, Uganda, Tanzania, Kenya e Rwanda hanno firmato l’accordo, Congo e Burundi non hanno ancora deciso che parte prendere. Se entro il 2011 Egitto e Sudan non riprenderanno le negoziazioni, gli altri paesi ratificheranno il trattato.
La scorsa primavera l’Etiopia ha inaugurato una diga idroelettrica da quasi 400 milioni di euro finanziata dalla Banca europea degli investimenti, dall’Italia e dalla stessa Etiopia. Altre nazioni alla sorgente del fiume, come l’Uganda, hanno in programma progetti simili. In merito alla questione, le autorità egiziane hanno ammesso che se l’acqua venisse immessa nelle riserve lentamente, in un arco tra i cinque e i quindici anni, le centrali idroelettriche non dovrebbero danneggiare eccessivamente l’Egitto. Ma la speranza è comunque che la Banca Mondiale, spesso finanziatrice di questi progetti, non approvi i piani delle nazioni alla sorgente. A preoccupare Egitto e Sudan ci sono inoltre gli investitori cinesi e arabi, che stanno riflettendo su enormi progetti agricoli in Uganda ed Etiopia, in cui vedono la possibilità di profitti altissimi.
«Mi sembra che siamo tutti matti», ha detto Diaa el-Quosy, un membro del ministero dell’irrigazione egiziano. «Tutti vogliono la propria parte, e poi ancora di più». Ha aggiunto che, una volta raffreddata la tensione politica, le nove nazioni del bacino del Nilo potranno trovare «soluzioni creative» per gestire il flusso del fiume. «C’è acqua per tutti».
In Egitto il problema è molto sentito, e non è raro che i media attacchino i paesi avversari con toni forti e bellicosi.
«Diminuire la quota egiziana delle acque del Nilo è una guerra genocida contro 80 milioni di persone» ha scritto quest’anno un giornalista egiziano, Hazem el-Beblawi, sul quotidiano Al Masry Al Youm.