Il gran casino del PD del Lazio
Perché Chiti è stato nominato commissario, che fine ha fatto il segretario eletto sette mesi fa con le primarie
Qualche giorno fa la segreteria nazionale del Partito Democratico ha nominato Vannino Chiti commissario del PD del Lazio, che dalla fine di maggio non ha più un segretario. L’ultimo segretario era stato Alessandro Mazzoli, già presidente della provincia di Viterbo, soprannominato “il Renzi di D’Alema”: era uscito vincitore dalle primarie dello scorso 25 ottobre ma senza una maggioranza assoluta, e l’assemblea regionale lo elesse grazie al voto dei popolari, che alle primarie avevano sostenuto un altro candidato.
Sette mesi dopo, la stessa assemblea regionale che lo aveva eletto ha approvato un documento che lo invitava a dimettersi, di fatto rimuovendolo dall’incarico. Al Post ne avevamo descritto le due fondamentali ragioni. In primo luogo l’esasperarsi dello scontro fra le correnti del partito romano, distrutto e sbrindellato al punto che persino i più moderati parlano di “balcanizzazione”. In secondo luogo i risultati deludenti ottenuti alle ultime elezioni regionali, nonostante la corsa ad handicap giocata dal PdL per la questione delle liste. Durante la campagna elettorale, quando il centrosinistra non aveva ancora trovato un candidato, Bersani assegnò a Nicola Zingaretti un “mandato esplorativo” per gestire la situazione, scavalcando di fatto il suo segretario. Poco dopo sono arrivate le dimissioni, quando tutti lo davano ormai per scontato.
Da quelle dimissioni alla nomina di Chiti, di cose ne sono successe. L’assemblea regionale, l’organo eletto con le primarie e deputato a eleggere il segretario, è nata come espressione del congresso: divisa quindi tra bersaniani, franceschiniani e mariniani. Nel corso dei mesi però le cose si sono molto rimescolate: e perdonateci se raccontandovela indugiamo troppo con sostantivi bizzarri. Ricapitoliamo. Tra i bersaniani, sono riemerse le storiche e grandi rivalità tra gli zingarettiani e i dalemiani (anzi, i “dalebani”, come li chiamano a Roma). Tra i franceschiniani, i popolari hanno mollato i veltroniani subito dopo il congresso, per sostenere Mazzoli. Tra i mariniani, l’ala appartenente alla vecchia sinistra diessina (Meta, Carapella) si è molto allontanata da quella più fresca e innovatrice.
L’effetto di questo rimescolamento è stato il tentativo di eleggere segretario Piero Latino, alla fine di luglio. Piero Latino è un superdalemiano, più dello stesso Mazzoli: ha fatto il segretario organizzativo nell’ultima stagione dei DS romani e sempre in quegli anni ha sfidato Zingaretti per la segreteria del partito romano. In assemblea regionale aveva ufficialmente il sostegno dei bersaniani e dei mariniani, e inizialmente la sua elezione sembrava certa. Quando si arriva al voto – segreto – Latino però non ce la fa: un sacco di gente che doveva votarlo non lo vota, nel-segreto-dell’urna, il tentativo fallisce. Riparte quindi una sequenza di accuse reciproche: i dalemiani che accusano gli zingarettiani, gli zingarettiani che accusano i mariniani. Proprio i mariniani, che finora erano stati i più compatti, si dividono allora in modo irresolubile: da una parte i promotori dell’intesa con Latino, i Meta e Carapella di cui sopra, dall’altra un’ala più scettica e movimentista. I primi hanno accolto con qualche favore la nomina del commissario, i secondi hanno organizzato un’assemblea pubblica la settimana scorsa, sostenuta anche da Scalfarotto, Serracchiani e Civati, e presto rivolgeranno a Chiti una serie di proposte per tentare di far tornare il PD romano un partito normale.
(foto: PDCerea)