Nessuno tocchi Sakineh
La battaglia contro la pena di morte e la barbarie maschilista prescinde dalle colpe delle vittime, ma spiegarlo in Iran è difficile
Oggi sulla Stampa Claudio Gallo racconta il punto di vista degli iraniani sulla condanna di Sakineh e sulla campagna internazionale in sua difesa, sollevando diversi punti interessanti.
La campagna contro la lapidazione di Sakineh, la bomba atomica che da 10 anni è sempre a un anno dalla sua realizzazione, la retorica infuocata contro Israele, i dissidenti in prigione. Così, spesso in modo riflesso, i nostri occhi sono abituati a vedere il paese degli ayatollah. L’Iran, però, non si lascia rinchiudere facilmente in un pugno di definizioni.
La sua mancanza di democrazia e trasparenza, insieme con lo sguardo talvolta ideologico dell’Occidente ne fanno un oggetto opaco, imperscrutabile. Com’è l’Iran attraverso gli occhi degli iraniani? Il quesito è cruciale ma difficile, perché parlare di politica con un iraniano è diventato quasi impossibile: i vecchi interlocutori a Teheran mettono giù il telefono appena capiscono che la chiamata arriva dall’estero, e chi accetta di parlare chiede di non essere citato. Dal voto presidenziale contestato di oltre un anno fa, la repressione è diventata soffocante.
Ironizza un professore universitario che non vuol essere nominato: «Da noi c’è libertà di espressione ma chi la esprime perde la libertà».
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