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  • Mercoledì 22 settembre 2010

“Liberate i nostri cameramen”

L'ISAF ha arrestato due cameraman di al Jazeera con l'accusa di fare propaganda in favore dei talebani

Al Jazeera – la maggiore emittente televisiva di lingua araba – ha chiesto il rilascio immediato di due cameraman arrestati dalle forze dell’ISAF, la missione militare internazionale in Afghanistan, negli ultimi tre giorni. In un comunicato stampa diffuso oggi, al Jazeera denuncia «il tentativo dell’ISAF di limitare la copertura di al Jazeera della guerra in Afghanistan».

L’ISAF ha motivato gli arresti accusando i due cameraman di essere a servizio della propaganda talebana: «I ribelli usano la propaganda, spesso sfruttando i media, per influenzare e in alcuni casi intimidire la popolazione afgana. La coalizione e le forze afgane hanno il dovere di mettere fine a queste attività di propaganda. Le due persone detenute saranno interrogate e se i sospetti saranno confermati resteranno agli arresti in attesa della decisione del tribunale afgano».

Al Jazeera respinge le accuse e insiste sull’innocenza dei suoi cameraman, Mohamed Nader and Rahmatullah Nekzad. «La vaghezza delle accuse contro i cameraman è molto pericolosa», ha commentato Anthony Mills, membro dell’International Press Institute, «che cosa vuol dire esattamente fare propaganda? Se vuol dire semplicemente fare il proprio mestiere di reporter, facendo conoscere la violenza che sta distruggendo il tuo paese, allora bisogna stare molto attenti».

I due arresti arrivano alla fine di un periodo di grande tensione tra al Jazeera e le forze dell’ISAF. Il capo della redazione in Afghanistan di al Jazeera, Samir Allawi, ha subito forti pressioni nei mesi scorsi affinché cambiasse la propria linea editoriale. Al Jazeera ha comunque fatto sapere che continuerà a mantenere la sua copertura sull’Afghanistan completa e accurata, basata sull’etica della correttezza giornalistica e dell’imparzialità. E ha spiegato che proprio questa etica rende necessario entrare in contatto e confrontarsi con tutte le parti coinvolte nel conflitto in corso, inclusi i talebani. «Questi contatti non dovrebbero essere giudicati come un crimine, ma una componente necessaria del lavoro giornalistico», ha detto al Jazeera.